IL GOVERNO TIENE CONTO DELLE NOSTRE RICHIESTE E MODIFICA PARTE DELLA LEGGE 133
Decreto anticrisi: cancellata la norma vessatoria nei confronti dei lavoratori pubblici e ritorna l’equiparazione tra pubblico e privato delle fasce di reperibilità dei lavoratori in malattia. Si torna, insomma, alle vecchie fasce di reperibilità 10-12 e 17-19.
Il Governo ha approvato, nel CDM di ieri, la manovra anticrisi dell'estate. La manovra economica prevede molte disposizioni di natura diversa, per lo più finalizzate al contrasto dell’attuale criticità della congiuntura economica.
Nel testo anche l'abrogazione dei tagli al salario di produttività collegato alle assenze per permessi.
Il Segretario Generale USAE - Adamo Bonazzi - ha commentato: “ Siamo contenti che con le modifiche previste con il comma 23 dell'art. 17 quella brutta norma sia stata cancellata. La diversità di trattamento fra i lavoratori del settore pubblico e quello privato era veramente inaccettabile e probabilmente conteneva anche dei profili di illegittimità costituzionale. Abbiamo chiesto più volte al Ministro Brunetta e al Governo tutto di rettificare il tiro e di intervenire. Un plauso a chi sa ritornare sui propri passi.”
Ecco le modifiche previste con il comma 23 dell'art. 17 - Enti pubblici: economie, controlli, Corte dei conti :
All’articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1-bis è sostituito dal seguente: «1-bis. A decorrere dall’anno 2009, limitatamente alle assenze per malattia di cui al comma 1 del personale del comparto sicurezza e difesa nonché del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, gli emolumenti di carattere continuativo correlati allo specifico status e alle peculiari condizioni di impiego di tale personale sono equiparati al trattamento economico fondamentale»;
b) al comma 2 dopo le parole: «mediante presentazione di certificazione medica rilasciata da struttura sanitaria pubblica» sono aggiunte le seguenti: «o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale»;
c) al comma 3 è soppresso il secondo periodo;
d) il comma 5 è abrogato. Gli effetti di tale abrogazione concernono le assenze effettuate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto;
e) dopo il comma 5, sono inseriti i seguenti:
“5-bis. Gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia effettuati dalle aziende sanitarie locali su richiesta delle Amministrazioni pubbliche interessate rientrano nei compiti istituzionali del Servizio sanitario nazionale; conseguentemente i relativi oneri restano comunque a carico delle aziende sanitarie locali.
5-ter. A decorrere dall’anno 2010 in sede di riparto delle risorse per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale è individuata una quota di finanziamento destinata agli scopi di cui al comma 5-bis, ripartita fra le regioni tenendo conto dell’incidenza sui propri territori di dipendenti pubblici; gli accertamenti di cui al comma 1 sono effettuati nei limiti delle ordinarie risorse disponibili a tale scopo.”.
lunedì 29 giugno 2009
martedì 16 giugno 2009
Sentenza 11\3\2005 relativa alla responsabilità penale solidale tra medici ed infermieri per evento morte del paziente
Cari colleghi, il nostro Avvocato dott. Maurizio Danza mi ha inviato questa interessantissima sentenza relativa alla responsabilità penale solidale tra medici ed infermieri per evento morte del paziente dovuto secondo la Cassazione al deserto assistenziale dell'intera struttura sanitaria. Essa si basa sull'obbligo di garanzia del malato che incombe ormai, quale principio costituzionale della tutela del diritto alla salute( ex art 32 della Cost) e secondo consolidata giurisprudenza su chiunque sia all'interno delle strutture e su tutto il personale sia medico che paramedico( come lo definisce ancora erroneamente la Cassazione).La Suprema Corte richiama la notissima pronuncia Franzese del 2002 che rappresenta ancora oggi rappresenta la pietra miliare per la ricostruzione del rapporto di causa ed effetto in materia di responsabilità sanitaria penale.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
SENTENZA 1° DICEMBRE 2004 - 11 MARZO 2005, N. 9739
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 3 luglio 2000 del tribunale di Bari in composizione monocratica, D.
Antonio, G. Giuseppe, L. Annalinda, P. Dora e C. Damiana venivano assolti con la formula
“perché il fatto non sussiste” dal reato di cui agli articoli 113, 589 Cp loro ascritto perché
“per colpa, consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, cagionavano la morte di S.
Michele, avvenuta in Bari il 7 novembre 1995, per arresto cardiacocircolatorio terminale in
soggetto affetto da shock infettivo a ipavolemico” ed in particolare “il G. quale medico di
guardia interdivisionale (dalle ore 20 del 6 novembre 1995 alle ore 8.00 del 07 novembre
1995) presso l’istituto Policattedra di chirurgia d’urgenza, chirurgia plastica e chirurgia
ricostruttiva dell’Università di Bari-Policlinico, la L. quale medico tirocinante nel reparto di
chirurgia plastica (presente nel corso dello stesso turno), la P. e la C. quali infermiere
professionali presso il citato reparto nello stesso turno, omettevano di controllare i
parametri vitali del paziente S. Michele. Il ricoverato a seguito di ustioni di primo e secondo
grado e sottoposto a due interventi chirurgici (il primo di escarectomia della regione
posteriore delle cosce e riparo con innesti dermo-epidermici, effettuato il 4 ottobre 1995 ed
il secondo di escarectomia tangenziale delle gambe e della regione lombare, riparata con
innesti cutanei prelevati dagli arti superiori e dai glutei, eseguito il 6 novembre 1995 dalle
ore 17.00 alle ore 21.00), che evidenziavano lo stato di shock, omettendo
conseguentemente di intervenire tempestivamente e rendendo pertanto irreversibile la
sindrome in atto che conduceva alla morte; il D., quale chirurgo che aveva eseguito
l’intervento del 6 novembre 1995, per aver posto in essere le condizioni che causarono
l’esito infausto dell’intervento, omettendo tra l’altro. di chiedere una preventiva consulenza
anestesiologica, e per aver omesso da un lato di tenere anch’egli sotto diretto controllo il
decorso post operatorio del paziente, nonostante si fosse in presenza di un intervento
delicato e di urgenza, e dall’altro, di vigilare affinché il personale medico e paramedico del
turno sopra indicato controllasse i parametri vitali del S.”.
Il Tribunale, premesso che il capo di imputazione non spiegava neppure in che modo ed in
quale misura l’omesso controllo dei parametri vitali avesse esplicato efficienza causale
sull’evento, perveniva alla assoluzione dì tutti gli imputati in forza della considerazione che
mancava qualsiasi prova del necessario nesso eziologico tra la condotta omissiva
contestata a medici ed infermiere ed il decesso dei paziente affidato alle loro cure.
Avverso detta sentenza proponevano rituale e tempestivo appello il Pg ed il patrono delle
parti civili costituite, svolgendo motivi di doglianza in parte comuni e chiedendo la riforme
della impugnata sentenza.
Nel corso del battimento di secondo grado veniva disposta perizia medico legale intesa ad
accertare quali erano state le cause della morte del S. e se tempestivi ed appropriati
interventi terapeutici avrebbero potuto evitarne la morte; i periti venivano autorizzati ad
acquisire il “diario infermieristico” della notte del decesso e dei giorni immediatamente
precedenti e successivi che però non fu possibile ottenere. Acquisita la documentazione
depositata dalle parti e sentiti i periti ed i consulenti di parte, la Corte di appello
pronunciava sentenza con cui riconosceva la responsabilità di D. Antonio, G. Giuseppe, P.
Dora e C. Damiana, condannandoli, in concorso di attenuanti generiche, alla pena di mesi
quattro di reclusione ciascuno, oltre che al risarcimento dei danni in favore delle parti civili
alle quali assegnava una provvisionale ed al rimborso delle spese di lite. Assolveva L.
Annalinda per non aver commesso il fatto.
La Corte ricostruiva con precisione la sequenza degli avvenimenti che precedettero il
decesso del S. ponendo maggiore attenzione a quanto si era verificato dopo il secondo
intervento operatorio, atteso che fino ad allora il trattamento del paziente era risultato
regolare. Il S., di anni 46 era stato ricoverato a seguito di un infortunio domestico nel quale
riportò ustioni estese a circa li 50% della superficie corporea e sottoposto in data 4 ottobre
1995 ad un primo intervento chirurgico, e ad un secondo, quello in esame, il 6 novembre
1995; a tale secondo intervento era giunto in condizioni sostanzialmente buone tanto che
l’anestesista che lo visitò giudicò che l’intervento avesse un grado di rischio inferiore a
quello precedente. L’operazione ebbe luogo nel pomeriggio, con inizio alle 17.15 e fine
alle 20.20 (ora della estubazione); tutto si svolse regolarmente ed all’esito l’anestesista
ordino di eseguire un controllo radiografico del torace e gli esami urgenti post operatori
all’arrivo in reparto: controllo ed esami che non vennero prontamente eseguiti. Il D.
prescrisse una terapia farmacologia, tramite flebo, che non venne compiutamente
somministrata (solo una flebo risulta essere stata effettuata e neanche completata); non
venne effettuato alcun controllo del polso, pressione e temperatura.
Nel corso della notte le due donne più volte sollecitarono il personale paramedico,
dapprima segnalando che il gocciolamento della flebo era lento, che dopo il precedente
intervento era stata fatta una trasfusione ematica ed erano stati somministrati più liquidi
per via venosa ed albumina, poi richiamando l’attenzione sul fatto che il paziente accusava
brividi, sudorazione e conati di vomito nonché sulla scarsezza di urine contenute nella
sacca, rimasta immutata dal momento in cui il paziente era stato riportato in reparto; esse
sollecitavano anche l’intervento di un medico, ma sempre ricevendo risposte volte ad
assicurare la regolarità del decorso post operatorio e il suggerimento di aumentare le
coperte (fino a giungere a otto) e di inumidire le labbra del paziente. Verso le sei del
mattino la moglie del S. misurava la temperatura corporea del marito, che ad una prima
misurazione risultava dì 36 gradi e poco dopo di 35. Nel frattempo era giunta la L. (medico
tirocinante) che controllò il ritmo cardiaco del S. e cercò di tranquillizzare la donna, ma il
paziente continuava a peggiorare fino a che verso le sette le infermiere del nuovo turno
trasferirono il paziente nel reparto rianimazione; solo allora sopraggiunse il medico di
guardia interdivisionale, dott. G. Dalla cartella del reparto rianimazione risulta che il
paziente vi giunse “collassato, cute pallida e sudata, polsi periferici e centrali non
apprezzabili, diuresi contratta, in coma, non risponde agli stimoli verbali, risponde in
maniera incoordinata agli stimoli nocicettivi”. Alle otto del mattino, nonostante i tentativi per
rianimarlo, avveniva l’exitus del paziente per collasso cardiocircolatorio irreversibile.
La Corte dava atto di aver effettuato tale ricostruzione sulla base delle dichiarazioni della
moglie del S., che durante la notte era stata costantemente al suo fianco, e della teste
Tarantini Rosetta, infermiera professionale, amica dì famiglia, che delle 21.30 del 6
novembre alle 5.45 circa della mattina successiva si era unita alla moglie nell’assistenza
del S., dichiarazioni ritenute pienamente attendibili sia per la loro precisione e
concordanza, sia perchè confermate dalle annotazioni della cartella clinica redatta al
momento del rícovero del S. in rianimazione, in assenza di un diario infermieristico, mai
acquisito od esibito, nonostante l’espressa autorizzazione ottenuta dai periti non poteva
dunque darsi credito a diverse allegazioni difensive.
I RICORSI
Antonio D. denuncia vizio di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità
basata solo sul fatto di non aver impartito ferree disposizioni scritte o orale al personale
medico o paramedico cui il paziente veniva affidato, in ordine alla gestione post operatoria.
La stessa sentenza da atto che egli ha bene adempiuto l’intervento operatorio; di quanto
avvenuto successivamente - del “deserto assistenziale” riscontrato dalla sentenza - egli
non può e non deve essere chiamato a rispondere; la situazione critica per il paziente
nasce nel reparto di terapia intensiva, dopo che il D. ha esaurito il suo compito e pertanto
l’adempimento del proprio obbligo di protezione; tutte le (eventuali) macroscopiche, a dire
della corte, inadempienze verificatesi in quel reparto sono assolutamente autonome e da
valutare autonomamente in quanto facenti capo a soggetti cui l’obbligo di garanzia era
stato trasferito, interrompendo il nesso di causalità rispetto a quanto verificatosi
(correttamente) sino a quel momento; non vi è prova che le disposizioni sarebbero state
osservate; la stessa Corte avrebbe riconosciuto che altri erano i soggetti che avevano il
dovere di protezione e sorveglianza del paziente e cioè il personale del reparto di terapia
intensiva dove il paziente era stato trasferito all’esito dell’intervento operatorio, reparto
dove la sorveglianza avrebbe dovuto essere adeguata per definizione. Non sussiste
dunque nesso causale tra il comportamento del D.e l’evento, atteso che se colpa vi fu
questa è solo del personale del reparto. Peraltro nessun rapporto di causalità poteva dirsi
regolarmente accertato in assenza di certezza sulla causa di morte.
G. Giuseppe denuncia violazione dì legge e manifesta illogicità di motivazione in quanto la
Corte di appello - trascurando le conclusione dei periti che avevano ritenuto impossibile
porre una affidabile diagnosi quanto a causa della morte, formulando al riguardo solo
ipotesi ha ritenuto di poter addivenire ad una ricostruzione certa sulla sola base delle
dichiarazioni della parte offesa, in particolare formulando nei confronti del G. un addebito
colposo omesso di controllare i parametri vitali del paziente e pertanto di intervenire
tempestivamente rendendo pertanto irreversibile la sindrome in atto che conduceva il
paziente a morte) che non teneva conto, da un lato, delle conclusioni della perizia secondo
cui il S. al termine dell’intervento operatorio non necessitava di un controllo continuo dei
parametri vitali e, dall’altro, dei compiti del medico di guardia interdivisionale, quali
specificati in un documento che la stesso Corte di appello aveva richiesto ma di cui non
aveva fatto utilizzazione, compiti che sono soltanto dì intervento su richiesta; è pacifico
viceversa che egli non venne mai chiamato dalle infermiere.
Damiana C. denuncia illogicità o mancanza di motivazione per travisamento del fatto.
Elevata al rango di prova una mera ipotesi formulata dai periti (shock ipovolemico a
seguito di un sanguinamento massivo da ulcera gastrica o intestinale) prendendo a
riferimento solo i sintomi riferiti dalla parte civile M. e dalla teste Tarantini; tuttavia le due
testi non avrebbero dichiarato al dibattimento quello che la Corte di appello ritiene, ed in
particolare che il S. presentava nausea, sudorazione, ingravescente astenia e conati di
vomito, per cui macroscopico sarebbe il travisamento atteso che il secondo giudice
ricostruisce le cause della morte solo sulla base di tali sintomi, sintomi che però
potrebbero desumersi solo dall’esposto presentato dalla M. e dalle sommarie informazioni
rese dalla Tarantini, atti inutilizzabili al fini della prova. Anche l’accertamento relativo al
quantitativo di urine e alle flebo effettuate sarebbe frutto di travisamento. In realtà, come
gli stessi periti hanno riconosciuto, la causa della morte è rimasta ignota e da ciò deriva la
impossibilità di effettuare il giudizio controfattuale; neppure è stato chiarito quale ulteriore
intervento medico sarebbe stato idoneo ad impedire l’evento: l’accertamento del nesso
causale non soddisfa dunque quei requisiti di certezza posti in luce dalla più recente
giurisprudenza.
Dora P. denuncia difetto ed illogicità della motivazione.
Le affermazioni secondo le quali il S. è stato abbandonato a sé stesso e le infermiere di
turno si limitarono a tranquillizzare le due donne che lo assistevano, non facendo niente
per verificare se le loro preoccupazioni avessero fondamento sarebbero smentite dalle
risultanze processuali ed in particolare dal foglio termografico da cui risulta che la
temperatura è stata misurata due volte e che la quantità di urina era di 300 mt;
l’affermazione di essere in presenza dì una diuresi contratta stante l’alterazione della cifra
1 in 3 era solo una mera congettura dell’estensore della sentenza; la sentenza sarebbe
illogica anche nel ritenere che il personale paramedico potesse riconoscere quei sintomi
che debbono essere riconosciuti dal medico. Impossibilità di ritenere accertato il nesso di
causalità non conoscendosi la causa della morte.
Al dibattimento sono state depositate conclusioni dell’Avv. Prof. Fabrizio L. per D., e
conclusioni e nota spese delle parti civili costituite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi, pur ritualmente proposti, sono infondati.
In via preliminare mette conto escludere la intervenuta prescrizione del reato per le
sospensioni intervenute nelle more del giudizio, già computate alla decorsa udienza del 2
aprile 2004, innanzi a questa Suprema Corte, con provvedimento di sospensione, in detta
udienza, del termine di prescrizione, infatti dette sospensioni, come quella determinata alla
citata udienza del 2 aprile 2004, sono tutte imputabili alla difesa degli imputati, e
determinano il non utile decorso del tempo - nella specifica ottica della prescrizione
secondo l’indirizzo di queste SS. UU. 1021/01, Cremonese.
Nel merito.
Sul ricorso del D. Antonio, va innanzi tutto precisato che egli, nella qualità di capo della
equipe operatoria, fu titolare di una posizione dì garanzia nell’ambito della quale, secondo
quanto accertato dalle precedenti sentenze di merito, risolse imprudentemente di
effettuare un intervento altamente specialistico (quale quello praticato al paziente S.
Michele) nell’ultimo turno pomeridiano, e così nell’approssimarsi della notte: tempo nel
quale, secondo regola di comune esperienza, il presidio medico e paramedico, nei reparti
ospedalieri (anche in quelli organizzati, a differenza di quello dì cui qui si discute, secondo
criteri accettabili), è notevolmente meno allertabile alle emergenze che non nelle ore dei
giorno.
Inoltre egli, concluso l’intervento, nel trasferire la sua posizione di garanzia all’unico
medico di guardia che aveva sotto il proprio controllo il reparto di terapia intensiva,
unitamente ad altri due reparti facenti capo all’istituto policattedra che li raggruppava, non
curò di fornire le necessarie indicazioni terapeutiche e dei controlli dei parametri vitali del
paziente appena operato, né si preoccupò di seguire direttamente - anche per interposta
persona il decorso post operatorio si che il S., abbandonato a sé stesso anche per il
disinteresse sia dell’unico medico di guardia notturno, sia del personale paramedico del
tutto professionalmente incapace ed assente, e sia persino della medico tirocinante dello
specifico reparto ove il paziente era stato sottoposto ad intervento chirurgico, sì spense
rapidamente a causa di un certo shock ipovelmico seguito a sanguinamento massivo da
ulcera gastrica o intestinale, e del probabile e conseguente instaurarsi di un’ulcera
sanguinante forse anche seguita da perforazione.
Il ricorrente ha denunciato l’adozione di un criterio probabilistico nella individuazione della
causa dell’evento, e dunque una violazione dei canoni della più recente giurisprudenza dì
questa Corte a SS.UU. (la pronuncia Franzese dei 30328/02). Per contro deve invece farsi
rilevare che la Corte si è espressa nei seguenti termini: “…le cause della morte sono state
indicate. con apprezzabile grado di assoluta verosimiglianza, scientificamente ancorato ai
dati clinici desunti dalla documentazione sanitaria acquisita. In uno shock ipovolemico a
seguito di sanguinamento massivo da ulcera gastrica o intestinale”; ed ha anche indicato i
dati oggettivi sui quali la detta ipotesi, formulata dai periti, è stata ritenuta fondata (quali le
possibili cause dell’instaurarsi di tale ulcera). Gli stessi giudici hanno indicato il
versamento endocavitario ed il conseguente shock ipovolemico, dato caratterizzato da
“assoluta fondatezza”, partendo, tra l’altro, dai precedenti valori ottimali di ematocrito (35%
prima dell’intervento).
La mancata pratica della terapia indicata dall’operatore, consistente in 1500 cc di liquidi
nel corso della notte, della terapia farmacologia prescritta, e degli altri presidi
tempestivamente praticabili, solo che fossero stati svolti gli accertamenti “urgenti” prescritti
dall’anestesista, o ritenuti necessari dal controllo medico che in alcun modo può mancare
nella fase post operatoria di un intervento talmente delicato, sarebbero stati tali da
certamente evitare l’evento al quale si è pervenuti attraverso un iter che la Corte di merito
ha descritto e qualificato come di totale abbandono. E ciò solo che l’imputato avesse
“eletto”, al fine di trasferire la propria posizione di garanzia, in maniera adeguatamente
oculata i soggetti che avrebbero dovuto seguire poi il decorso post operatorio del paziente,
nella immediatezza del suo ritorno in reparto, e nelle seguenti ore della notte.
Può dunque affermarsi che, nel caso del dottor D. il rimprovero di non aver usato il
comportamento conseguente alla delicatissima posizione di garanzia che gli era
propria, in vista della fase post operatoria, trasferendo tale posizione ad un reparto
che egli sapeva (o avrebbe dovuto sapere) affidato solo a personale paramedico
(indipendentemente dalla competenza diligenza e scrupolo che costoro
possedessero) certamente non in grado di far fronte all’assistenza di pazienti
appena sottoposti ad interventi di alta chirurgia, ed ad un medico di guardia per
contratto disponibile solo dietro chiamata o “a richiesta”, è stato ineccepibilmente
motivato.
Infatti, in tali condizioni, si può dire che egli ha abbandonato il paziente a sé stesso,
avendo la piena consapevolezza di tale abbandono.
Che poi, da tale situazione di abbandono sia derivata la incredibile mancata pratica delle
cure e somministrazioni di liquidi che lo stesso primario aveva ordinato, e che da questa
sia derivato il progressivo deterioramento delle funzioni vitali del paziente che, avendo
perduto già plasma durante l’intervento (1000 mi), ne continuava a perdere per
sanguinamento da ulcera, sino a pervenire allo shock ipovolemico, è fatto che risulta
chiaramente attraverso la ricostruzione della dinamica degli eventi caratterizzata dalla
totale assenza di assistenza e controllo del malato, pur in presenza di numerose
segnalazioni di dati allarmanti sul decorso post operatorio, da parte della moglie e
dell’amica di famiglia che ne seguirono impotenti il percorso verso l’irreparabile. Ma di tali
successive e gravi omissioni il ricorrente non può valersi quale scusante della propria
condotta omissiva, in quanto vale qui la regola sempre affermato da questa Suprema
Corte e secondo la quale chi versa in colpa non può invocare a propria scusante la
condotta colposa altrui.
In materia, per altro, il condiviso orientamento di questa Suprema Corte è nel senso che
gli operatori di una struttura sanitaria, medici e paramedici, sono tutti “ex lege” portatori di
una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente
imposto ex articolo 2 e 32 Costituzione nei confronti dei pazienti, la cui salute essi devono
tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità; e l’obbligo di protezione
perdura per l’intero tempo del turno di lavoro. (Cassazione penale, Sezione quarta, 2
marzo 2000 n. 9638, Troiano). Si che correttamente la Corte di merito ha ritenuto che il
ricorrente non abbia adempiuto al proprio obbligo nei termini di cui innanzi.
Sul nesso eziologico, ritiene questa Corte integrare sufficientemente l’obbligo della
motivazione imposto al Giudice di merito la sua individuazione nella mancata esecuzione
della radiografia del torace e degli accertamenti prescritti dall’anestesista, nella mancata
indicazione delle necessarie disposizioni “scritte ed orali” al personale medico e
paramedico cui il paziente veniva affidato nella fase post -operatoria, tanto che nulla di
tutto ciò fu praticato al S. né nell’immediato e nemmeno nel corso di tutta la notte.
Da tali omessi controlli e terapie, conseguirono le insorgenze che condussero a morte il
paziente. Omissioni imputabili innanzi di ogni altro al D., a titolo di colpa integrata dal
connotato della imprudenza e della negligenza. Ove tutto ciò non fosse stato omesso,
deduce la impugnata sentenza, l’evento si sarebbe evitato.
La sentenza de qua ha inoltre bene evidenziato che, per altro, egli sapeva bene che -
come prima già indicato - la sua posizione di garanzia non veniva trasmessa a personale
sanitario idoneo a riceverla (e pertanto con culpa in eligendo), ed anzi che veniva trasferita
praticamente a nessuno.
Tale condotta è stata ritenuta idonea a determinare nel paziente quella ulteriore perdita di
liquido ematico che, sommata alla perdita subita durante l’intervento, ed in assenza di
reintegrazione di liquidi, di terapia alcuna e di controllo medico, ha determinato il
progressivo scadimento delle complessive condizioni vitali del S. che, solo dopo un tempo
individuato attorno alle sei e trenta del mattino (ora fino alla quale è stata ritenuta la
possibilità di un intervento idoneo a salvare la vita del paziente) è divenuto irreversibile. Da
qui la corretta contestazione della cooperazione colposa con il medico di guardia e con il
personale infermieristico, i quali tutti hanno inserito una condotta parte, utile elemento ai
fini della determinazione dell’evento; né sembra del tutto peregrina la critica alla sentenza,
di qualche difensore, in sede di discussione, secondo cui non riesce comprensibile come
sia stata assolta la specializzanda dott L., rimasta nel turno notturno a presidiare il reparto
in relazione proprio ai compiti specifici del dott. D., presso il cui reparto la stessa svolgeva
la sua attività, la quale, informata dalla moglie del paziente del peggioramento delle
condizioni del marito, non si attivò personalmente con adeguate iniziative, nella sua qualità
di medico, non chiamò il medico di guardia, e nemmeno controllò il (non) normale
funzionamento della flebo e la (mancata) assunzione delle cure anche farmacologiche
prescritte dall’anestesista e dal suo stesso direttore al momento di rinviare il S. al reparto
di terapia intensiva.
Quanto alla impugnazione proposta dal D., pertanto- assorbita in quanto precedentemente
osservato ogni ulteriore considerazione critica formulata nell’interesse del ricorrente - il
ricorso dove essere ritenuto infondato in ogni sua parte, al limite della inammissibilità, e
deve essere pertanto integralmente rigettato.
Non diversa sorte può avere il ricorso del dottor G.
Deve infatti qui ricordarsi l’insegnamento di questa Corte, riferito innanzi in ordine alla
posizione del Dottor D., secondo il quale (vale la pena ricordarlo) gli operatori di una
struttura sanitaria, medici e paramedici, sono tutti “ex lege” portatori di una posizione di
garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex articolo 2 e
32 Costituzione, nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelare contro qualsivoglia
pericolo che ne minacci l’integrità - l’obbligo di protezione perdura per l’intero tempo del
turno di lavoro. (Cassazione penale, Sezione quarta, 9638/00, Troiano)
Egli ritorna a porre in discussione, con il suo ricorso, la causa mortis, a suo parere
imperscrutabile per la (certo assai colpevole) mancata esecuzione dei dovuto esame
autoptico sul cadavere
E tuttavia, come detto qui prima, in relazione alla posizione dei Dottor D., tale causa della
morte è stata individuata dalla Corte di merito in maniera dei tutto inequivoca e
categoricamente addossata alla responsabilità degli imputati, fra i quali spicca il ricorrente
per la totale sua assenza di controllo dovuto, a giudizio di questa Corte, nei termini e per le
previsioni normative indicate nella prima riferita pronuncia ad inizio di turno e poi durante
tutto il corso della notte. E ciò, indipendentemente dai suoi obblighi contrattuali.
Senza ritornare a valutate gli esiti peritali poiché questa Corte non deve effettuare
incursioni negli atti probatori, limitandosi solo ad esaminare gli atti impugnati e gli atti
d’impugnazione onde valutare la coerenza logica dei primi, e la capacità di questi a
resistere alla critiche di ricorso (Sezione Prima, 10 febbraio 2000, n. 94). basta osservare
che, proprio in applicazione dei principi costituzionali indicati dalla pronuncia n. 963812000
di questa Corte, ed in considerazione, dunque, della tenutezza dei medico, cui era affidato
il reparto, di previamente informarsi quanto meno delle situazioni di emergenza esistenti al
momento della sua assunzione di responsabilità e di garanzia (e certamente tale era
quella della persona offesa per le ripetute ragioni connesse alla delicatezza dei subito
intervento ed alla necessità di essere seguito con attenzione particolare nella delicatissima
fase post operatoria), il ricorso alla clausola contrattuale che avrebbe configurato il suo
obbligo di intervento su chiamata (e poi, chiamata da parte di chi, nel caso di specie?) è
dei tutto privo di rilievo, come la corte di merito ha ritenuto, pronunciando nei confronti di
costui sentenza di condanna per le ragioni ivi spiegate secondo convincente, ragionevole
e condivise motivazione.
A pag. 21 di sentenza, infatti, la Corte evidenzia come fu proprio a causa del notevole
intervallo di tempo trascorso fra la comparsa di quei sintomi che avrebbero Imposto, se
doverosamente rilevati, l’instaurazione di una idonea terapia, ed il momento
dell’irreversibile aggravamento verificatosi dopo le ore 6,30” che ebbe a verificarsi l’evento,
specie In considerazione dei fatto che l’essere il paziente affidato ad una struttura “di
altissimo livello operativo (istituto policattedra di terapia di urgenza dei Policlinico di Bari)”
avrebbe dovuto consentire che, praticati nei tempi congrui gli interventi farmacologici e
chirurgici appropriati, fosse evitato l’evento. E conclude: “non ricorre nel caso di specie. in
base all’evidenza disponibile, alcuna incertezza, alcun ragionevole dubbio sulla reale
efficacia condizionante dell’omissione degli imputati.”
Nel suddetto modo appare dunque integrata, e in termini di ipotesi controfattuale, e in
termini di 1ormula logica” (SS.UU. Franzese, 2002), la responsabilità, fra gli albi, anche
dei dottor G.
Né vale il ricorso agli obblighi contrattuali, attesa la posizione di garanzia specifica che
ogni medico (o paramedico) ha nei confronti dei pazienti a lui affidati, e che deve espletare
nel rispetto dei principi costituzionali di cui agli artt 2 e 32, così come già più volte
affermato da questa Suprema Corte (una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo
di solidarietà costituzionalmente imposto ex art 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la
cui salute devono tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità; l’obbligo
di protezione perdura come già precisato per l’intero tempo dei turno di lavoro.
[Cassazione penale, sez. IV, 2 marzo 2000, n. 9638, Troiano).
Qui, dunque, non è questione di obbligo contrattuale di natura privatistica (a
amministrativistica), ma dell’esser venuto meno, il dottor G., al pari degli altri, all’esatto
adempimento dei debito di garanzia dovuto nei confronti del S., mediante la condotta che
gli è stata contestata, e che è stata di poi accertata nei termini di cui in sentenza, esenti da
qualsiasi vizio logico, oltre che anche genericamente giuridico, in funzione di un iter
argomentativo dei tutto ragionevole e convincente.
Inammissibili sono poi le censure all’accertamento di fatto che i secondo Giudici hanno
ritenuto, a seguito della considerazione degli esiti peritali; e questo per le ragioni di cui
l’insegnamento costante e condiviso di questa stessa Corte, a mente dei quale nel giudizio
di legittimità non è deducibile il vizio di travisamento dei fatto inteso come ipotesi di
contrasto fra le argomentazioni dei contesto motivazionale e gli atti processuale, sicché il
controllo demandato alla Corte di Cassazione. non può esplicarsi in indagini extratestuali
dirette a verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove, costituenti i dati fondanti
della decisione, siano effettivamente corrispondono alle acquisizioni probatorie risultanti
dagli atti del processo (Sezione Prima, 10 febbraio 2000 n. 94). Né scusante è che gli
infermieri non abbiano mai richiesto, durante la notte, il suo intervento, essendo dovere
e scrupolo di un medico, cui è affidato un reparto (specialmente quando si tratti di una
unità dai compiti evidentemente di speciale delicatezza, quale quella di terapia intensiva in
questione) quello di prendere immediata visione, raccogliendo la posizione di garanzia che
gli viene trasferita al momento della sua presa in carico dei reparto, delle specifiche
situazioni degli ammalati, a partire dalle situazioni più delicate (e non se ne immagina una
più critica di quella presentata dal S., in fase immediatamente post operatoria a seguito
della storia chirurgica di cui in sentenza), e dunque assicurandosi della corretta
instaurazione delle terapie prescritte o ritenuta necessarie, seguendo di persona
l’evolversi della situazione fino al cessare della condizione di rischio.
Obbligo e scrupolo cui il dottor G. come affermato in sentenza è stato ben lontano dai
corrispondere.
Per quanto detto, ed assorbita ogni altra considerazione, la infondatezza dei ricorso
conduce alla declaratoria di rigetto dello stesso.
A non diversa soluzione deve pervenirsi a seguito dell’esame del motivo presentato
dalle infermiere P. e C.
Anche costoro hanno contestato l’addebitabilità di ogni responsabilità a loro, attesa la
incertezza in ordine alla causa mortis dei paziente, per la mancata perizia autoptica.
Tuttavia, l’accertamento svolto in sentenza sulla base delle perizie fondate sulla
ricostruzione storica del fatto, non consente alcuna rivisitazione del giudizio di fatto che,
per le ragioni qui prima dette e ripetute, non si presta a censure in ordine all’ordito
argomentativo dello specifico decisum.
Certo è che il S. è morto perché non solo non tempestivamente «ma mai, durante l’intero
arco della notte (quasi dodici ore dal suo rientro In reparto dopo l’intervento chirurgico, e
fino al momento In cui le sue condizioni fisiche sono irrimediabilmente precipitate) costoro
raccolsero, come era loro preciso dovere, le preoccupazioni reiteratamente ed in maniera
allarmata prospettate dalla moglie del paziente e dall’infermiera, amica di famiglia, che
insieme a costei trascorse quelle ore attendendo inutilmente che qualcuno comprendesse
ciò che a loro appariva e non vi era certo necessità di specifica competenza il gravissimo
evolversi della situazione.
La Corte ha sottolineato, attraverso il riferimento alle parole “tranquillanti” di costoro
(innanzi alla esposizione dei sintomi su cui è inutile tornare, tanto essi sono chiari anche al
di là di qualunque più elementare nozione di esperienza medica o paramedica) quale sia
stata la condizione di totale assenza di qualsiasi apporto venuto da detto personale, se
non l’aver fornito otto coperte per far fronte alla crisi ipotermica di una persona, il S. che si
stava totalmente dissanguando e disidratando, Nemmeno hanno avvertito lo scrupolo di
chiamare il dottor G. che intanto stazionava nella propria stanza, secondo contratto.
In particolare la P., con il suo ricorso, percorre criticamente la ricostruzione degli eventi
delle ore notturne, in chiave alternativa rispetto a quella di cui in sentenza. Ma ciò non è
consentito nella presente sede di legittimità, per la ben nota preclusione rispetto ad ogni
rivisitazione del merito (già qui prima evidenziata) a condizione che l’apparato
argomentativo non presenti incongruità, così come non ne presenta la sentenza
sottoposta dunque a non puntuale ed utile critica, per quanto fin qui evidenziato.
Altrettanto fa la C., sempre prendendo lo spunto dalla incertezza sulle cause della morte
del paziente (incertezza che la sentenza non manifesta), per denunciare quindi mancanza
di nesso causale, difetto di prova in ordine alla responsabilità, vizio di motivazione e
travisamento del fatto.
Ma, posto che sul nesso di causalità - anche con specifico riferimento alla posizione di
costei - la Corte di merito ha detto in maniera ineccepibile (e la “anonima correzione” -
meglio sarebbe parlare di falsificazione della cifra relativa alla quantità di urine contenute
nella sacca al momento del precipitoso ed inutile trasferimento del paziente al reparto
rianimazione, praticamente già privo di vita, è ulteriore prova della grave omissione posta
in essere dal personale infermieristico e del tentativo di “ripararvi” in chiave difensiva), ogni
altra alternativa lettura degli elementi probatori valutati (o anche non valutati perché
implicitamente ritenuti inconducenti) non può costituire argomento d’impugnazione in sede
di legittimità.
Anche tale ricorso, prevalentemente in fatto, non può trovare l’atteso riscontro censorio, e
deve rigettato anche a ragione della sua pressoché manifesta infondatezza.
Al rigetto dei ricorsi di tutti gli imputati segue la condanna di costoro, in solido, alle spese.
P.Q.M.
Visti gli articoli 615 e 616 Cpp, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al
pagamento delle spese processuali. Li condanna altresì al pagamento in solido delle
spese civili del giudizio di Cassazione in favore delle parti civili M. Anna Maria, S.
Pierpaolo e S. Caterina, liquidandole in complessivi euro 6.000,00 (comprese le spese).
Così deciso in Roma, 1° dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria oggi 11 marzo 2005.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
SENTENZA 1° DICEMBRE 2004 - 11 MARZO 2005, N. 9739
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 3 luglio 2000 del tribunale di Bari in composizione monocratica, D.
Antonio, G. Giuseppe, L. Annalinda, P. Dora e C. Damiana venivano assolti con la formula
“perché il fatto non sussiste” dal reato di cui agli articoli 113, 589 Cp loro ascritto perché
“per colpa, consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, cagionavano la morte di S.
Michele, avvenuta in Bari il 7 novembre 1995, per arresto cardiacocircolatorio terminale in
soggetto affetto da shock infettivo a ipavolemico” ed in particolare “il G. quale medico di
guardia interdivisionale (dalle ore 20 del 6 novembre 1995 alle ore 8.00 del 07 novembre
1995) presso l’istituto Policattedra di chirurgia d’urgenza, chirurgia plastica e chirurgia
ricostruttiva dell’Università di Bari-Policlinico, la L. quale medico tirocinante nel reparto di
chirurgia plastica (presente nel corso dello stesso turno), la P. e la C. quali infermiere
professionali presso il citato reparto nello stesso turno, omettevano di controllare i
parametri vitali del paziente S. Michele. Il ricoverato a seguito di ustioni di primo e secondo
grado e sottoposto a due interventi chirurgici (il primo di escarectomia della regione
posteriore delle cosce e riparo con innesti dermo-epidermici, effettuato il 4 ottobre 1995 ed
il secondo di escarectomia tangenziale delle gambe e della regione lombare, riparata con
innesti cutanei prelevati dagli arti superiori e dai glutei, eseguito il 6 novembre 1995 dalle
ore 17.00 alle ore 21.00), che evidenziavano lo stato di shock, omettendo
conseguentemente di intervenire tempestivamente e rendendo pertanto irreversibile la
sindrome in atto che conduceva alla morte; il D., quale chirurgo che aveva eseguito
l’intervento del 6 novembre 1995, per aver posto in essere le condizioni che causarono
l’esito infausto dell’intervento, omettendo tra l’altro. di chiedere una preventiva consulenza
anestesiologica, e per aver omesso da un lato di tenere anch’egli sotto diretto controllo il
decorso post operatorio del paziente, nonostante si fosse in presenza di un intervento
delicato e di urgenza, e dall’altro, di vigilare affinché il personale medico e paramedico del
turno sopra indicato controllasse i parametri vitali del S.”.
Il Tribunale, premesso che il capo di imputazione non spiegava neppure in che modo ed in
quale misura l’omesso controllo dei parametri vitali avesse esplicato efficienza causale
sull’evento, perveniva alla assoluzione dì tutti gli imputati in forza della considerazione che
mancava qualsiasi prova del necessario nesso eziologico tra la condotta omissiva
contestata a medici ed infermiere ed il decesso dei paziente affidato alle loro cure.
Avverso detta sentenza proponevano rituale e tempestivo appello il Pg ed il patrono delle
parti civili costituite, svolgendo motivi di doglianza in parte comuni e chiedendo la riforme
della impugnata sentenza.
Nel corso del battimento di secondo grado veniva disposta perizia medico legale intesa ad
accertare quali erano state le cause della morte del S. e se tempestivi ed appropriati
interventi terapeutici avrebbero potuto evitarne la morte; i periti venivano autorizzati ad
acquisire il “diario infermieristico” della notte del decesso e dei giorni immediatamente
precedenti e successivi che però non fu possibile ottenere. Acquisita la documentazione
depositata dalle parti e sentiti i periti ed i consulenti di parte, la Corte di appello
pronunciava sentenza con cui riconosceva la responsabilità di D. Antonio, G. Giuseppe, P.
Dora e C. Damiana, condannandoli, in concorso di attenuanti generiche, alla pena di mesi
quattro di reclusione ciascuno, oltre che al risarcimento dei danni in favore delle parti civili
alle quali assegnava una provvisionale ed al rimborso delle spese di lite. Assolveva L.
Annalinda per non aver commesso il fatto.
La Corte ricostruiva con precisione la sequenza degli avvenimenti che precedettero il
decesso del S. ponendo maggiore attenzione a quanto si era verificato dopo il secondo
intervento operatorio, atteso che fino ad allora il trattamento del paziente era risultato
regolare. Il S., di anni 46 era stato ricoverato a seguito di un infortunio domestico nel quale
riportò ustioni estese a circa li 50% della superficie corporea e sottoposto in data 4 ottobre
1995 ad un primo intervento chirurgico, e ad un secondo, quello in esame, il 6 novembre
1995; a tale secondo intervento era giunto in condizioni sostanzialmente buone tanto che
l’anestesista che lo visitò giudicò che l’intervento avesse un grado di rischio inferiore a
quello precedente. L’operazione ebbe luogo nel pomeriggio, con inizio alle 17.15 e fine
alle 20.20 (ora della estubazione); tutto si svolse regolarmente ed all’esito l’anestesista
ordino di eseguire un controllo radiografico del torace e gli esami urgenti post operatori
all’arrivo in reparto: controllo ed esami che non vennero prontamente eseguiti. Il D.
prescrisse una terapia farmacologia, tramite flebo, che non venne compiutamente
somministrata (solo una flebo risulta essere stata effettuata e neanche completata); non
venne effettuato alcun controllo del polso, pressione e temperatura.
Nel corso della notte le due donne più volte sollecitarono il personale paramedico,
dapprima segnalando che il gocciolamento della flebo era lento, che dopo il precedente
intervento era stata fatta una trasfusione ematica ed erano stati somministrati più liquidi
per via venosa ed albumina, poi richiamando l’attenzione sul fatto che il paziente accusava
brividi, sudorazione e conati di vomito nonché sulla scarsezza di urine contenute nella
sacca, rimasta immutata dal momento in cui il paziente era stato riportato in reparto; esse
sollecitavano anche l’intervento di un medico, ma sempre ricevendo risposte volte ad
assicurare la regolarità del decorso post operatorio e il suggerimento di aumentare le
coperte (fino a giungere a otto) e di inumidire le labbra del paziente. Verso le sei del
mattino la moglie del S. misurava la temperatura corporea del marito, che ad una prima
misurazione risultava dì 36 gradi e poco dopo di 35. Nel frattempo era giunta la L. (medico
tirocinante) che controllò il ritmo cardiaco del S. e cercò di tranquillizzare la donna, ma il
paziente continuava a peggiorare fino a che verso le sette le infermiere del nuovo turno
trasferirono il paziente nel reparto rianimazione; solo allora sopraggiunse il medico di
guardia interdivisionale, dott. G. Dalla cartella del reparto rianimazione risulta che il
paziente vi giunse “collassato, cute pallida e sudata, polsi periferici e centrali non
apprezzabili, diuresi contratta, in coma, non risponde agli stimoli verbali, risponde in
maniera incoordinata agli stimoli nocicettivi”. Alle otto del mattino, nonostante i tentativi per
rianimarlo, avveniva l’exitus del paziente per collasso cardiocircolatorio irreversibile.
La Corte dava atto di aver effettuato tale ricostruzione sulla base delle dichiarazioni della
moglie del S., che durante la notte era stata costantemente al suo fianco, e della teste
Tarantini Rosetta, infermiera professionale, amica dì famiglia, che delle 21.30 del 6
novembre alle 5.45 circa della mattina successiva si era unita alla moglie nell’assistenza
del S., dichiarazioni ritenute pienamente attendibili sia per la loro precisione e
concordanza, sia perchè confermate dalle annotazioni della cartella clinica redatta al
momento del rícovero del S. in rianimazione, in assenza di un diario infermieristico, mai
acquisito od esibito, nonostante l’espressa autorizzazione ottenuta dai periti non poteva
dunque darsi credito a diverse allegazioni difensive.
I RICORSI
Antonio D. denuncia vizio di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità
basata solo sul fatto di non aver impartito ferree disposizioni scritte o orale al personale
medico o paramedico cui il paziente veniva affidato, in ordine alla gestione post operatoria.
La stessa sentenza da atto che egli ha bene adempiuto l’intervento operatorio; di quanto
avvenuto successivamente - del “deserto assistenziale” riscontrato dalla sentenza - egli
non può e non deve essere chiamato a rispondere; la situazione critica per il paziente
nasce nel reparto di terapia intensiva, dopo che il D. ha esaurito il suo compito e pertanto
l’adempimento del proprio obbligo di protezione; tutte le (eventuali) macroscopiche, a dire
della corte, inadempienze verificatesi in quel reparto sono assolutamente autonome e da
valutare autonomamente in quanto facenti capo a soggetti cui l’obbligo di garanzia era
stato trasferito, interrompendo il nesso di causalità rispetto a quanto verificatosi
(correttamente) sino a quel momento; non vi è prova che le disposizioni sarebbero state
osservate; la stessa Corte avrebbe riconosciuto che altri erano i soggetti che avevano il
dovere di protezione e sorveglianza del paziente e cioè il personale del reparto di terapia
intensiva dove il paziente era stato trasferito all’esito dell’intervento operatorio, reparto
dove la sorveglianza avrebbe dovuto essere adeguata per definizione. Non sussiste
dunque nesso causale tra il comportamento del D.e l’evento, atteso che se colpa vi fu
questa è solo del personale del reparto. Peraltro nessun rapporto di causalità poteva dirsi
regolarmente accertato in assenza di certezza sulla causa di morte.
G. Giuseppe denuncia violazione dì legge e manifesta illogicità di motivazione in quanto la
Corte di appello - trascurando le conclusione dei periti che avevano ritenuto impossibile
porre una affidabile diagnosi quanto a causa della morte, formulando al riguardo solo
ipotesi ha ritenuto di poter addivenire ad una ricostruzione certa sulla sola base delle
dichiarazioni della parte offesa, in particolare formulando nei confronti del G. un addebito
colposo omesso di controllare i parametri vitali del paziente e pertanto di intervenire
tempestivamente rendendo pertanto irreversibile la sindrome in atto che conduceva il
paziente a morte) che non teneva conto, da un lato, delle conclusioni della perizia secondo
cui il S. al termine dell’intervento operatorio non necessitava di un controllo continuo dei
parametri vitali e, dall’altro, dei compiti del medico di guardia interdivisionale, quali
specificati in un documento che la stesso Corte di appello aveva richiesto ma di cui non
aveva fatto utilizzazione, compiti che sono soltanto dì intervento su richiesta; è pacifico
viceversa che egli non venne mai chiamato dalle infermiere.
Damiana C. denuncia illogicità o mancanza di motivazione per travisamento del fatto.
Elevata al rango di prova una mera ipotesi formulata dai periti (shock ipovolemico a
seguito di un sanguinamento massivo da ulcera gastrica o intestinale) prendendo a
riferimento solo i sintomi riferiti dalla parte civile M. e dalla teste Tarantini; tuttavia le due
testi non avrebbero dichiarato al dibattimento quello che la Corte di appello ritiene, ed in
particolare che il S. presentava nausea, sudorazione, ingravescente astenia e conati di
vomito, per cui macroscopico sarebbe il travisamento atteso che il secondo giudice
ricostruisce le cause della morte solo sulla base di tali sintomi, sintomi che però
potrebbero desumersi solo dall’esposto presentato dalla M. e dalle sommarie informazioni
rese dalla Tarantini, atti inutilizzabili al fini della prova. Anche l’accertamento relativo al
quantitativo di urine e alle flebo effettuate sarebbe frutto di travisamento. In realtà, come
gli stessi periti hanno riconosciuto, la causa della morte è rimasta ignota e da ciò deriva la
impossibilità di effettuare il giudizio controfattuale; neppure è stato chiarito quale ulteriore
intervento medico sarebbe stato idoneo ad impedire l’evento: l’accertamento del nesso
causale non soddisfa dunque quei requisiti di certezza posti in luce dalla più recente
giurisprudenza.
Dora P. denuncia difetto ed illogicità della motivazione.
Le affermazioni secondo le quali il S. è stato abbandonato a sé stesso e le infermiere di
turno si limitarono a tranquillizzare le due donne che lo assistevano, non facendo niente
per verificare se le loro preoccupazioni avessero fondamento sarebbero smentite dalle
risultanze processuali ed in particolare dal foglio termografico da cui risulta che la
temperatura è stata misurata due volte e che la quantità di urina era di 300 mt;
l’affermazione di essere in presenza dì una diuresi contratta stante l’alterazione della cifra
1 in 3 era solo una mera congettura dell’estensore della sentenza; la sentenza sarebbe
illogica anche nel ritenere che il personale paramedico potesse riconoscere quei sintomi
che debbono essere riconosciuti dal medico. Impossibilità di ritenere accertato il nesso di
causalità non conoscendosi la causa della morte.
Al dibattimento sono state depositate conclusioni dell’Avv. Prof. Fabrizio L. per D., e
conclusioni e nota spese delle parti civili costituite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi, pur ritualmente proposti, sono infondati.
In via preliminare mette conto escludere la intervenuta prescrizione del reato per le
sospensioni intervenute nelle more del giudizio, già computate alla decorsa udienza del 2
aprile 2004, innanzi a questa Suprema Corte, con provvedimento di sospensione, in detta
udienza, del termine di prescrizione, infatti dette sospensioni, come quella determinata alla
citata udienza del 2 aprile 2004, sono tutte imputabili alla difesa degli imputati, e
determinano il non utile decorso del tempo - nella specifica ottica della prescrizione
secondo l’indirizzo di queste SS. UU. 1021/01, Cremonese.
Nel merito.
Sul ricorso del D. Antonio, va innanzi tutto precisato che egli, nella qualità di capo della
equipe operatoria, fu titolare di una posizione dì garanzia nell’ambito della quale, secondo
quanto accertato dalle precedenti sentenze di merito, risolse imprudentemente di
effettuare un intervento altamente specialistico (quale quello praticato al paziente S.
Michele) nell’ultimo turno pomeridiano, e così nell’approssimarsi della notte: tempo nel
quale, secondo regola di comune esperienza, il presidio medico e paramedico, nei reparti
ospedalieri (anche in quelli organizzati, a differenza di quello dì cui qui si discute, secondo
criteri accettabili), è notevolmente meno allertabile alle emergenze che non nelle ore dei
giorno.
Inoltre egli, concluso l’intervento, nel trasferire la sua posizione di garanzia all’unico
medico di guardia che aveva sotto il proprio controllo il reparto di terapia intensiva,
unitamente ad altri due reparti facenti capo all’istituto policattedra che li raggruppava, non
curò di fornire le necessarie indicazioni terapeutiche e dei controlli dei parametri vitali del
paziente appena operato, né si preoccupò di seguire direttamente - anche per interposta
persona il decorso post operatorio si che il S., abbandonato a sé stesso anche per il
disinteresse sia dell’unico medico di guardia notturno, sia del personale paramedico del
tutto professionalmente incapace ed assente, e sia persino della medico tirocinante dello
specifico reparto ove il paziente era stato sottoposto ad intervento chirurgico, sì spense
rapidamente a causa di un certo shock ipovelmico seguito a sanguinamento massivo da
ulcera gastrica o intestinale, e del probabile e conseguente instaurarsi di un’ulcera
sanguinante forse anche seguita da perforazione.
Il ricorrente ha denunciato l’adozione di un criterio probabilistico nella individuazione della
causa dell’evento, e dunque una violazione dei canoni della più recente giurisprudenza dì
questa Corte a SS.UU. (la pronuncia Franzese dei 30328/02). Per contro deve invece farsi
rilevare che la Corte si è espressa nei seguenti termini: “…le cause della morte sono state
indicate. con apprezzabile grado di assoluta verosimiglianza, scientificamente ancorato ai
dati clinici desunti dalla documentazione sanitaria acquisita. In uno shock ipovolemico a
seguito di sanguinamento massivo da ulcera gastrica o intestinale”; ed ha anche indicato i
dati oggettivi sui quali la detta ipotesi, formulata dai periti, è stata ritenuta fondata (quali le
possibili cause dell’instaurarsi di tale ulcera). Gli stessi giudici hanno indicato il
versamento endocavitario ed il conseguente shock ipovolemico, dato caratterizzato da
“assoluta fondatezza”, partendo, tra l’altro, dai precedenti valori ottimali di ematocrito (35%
prima dell’intervento).
La mancata pratica della terapia indicata dall’operatore, consistente in 1500 cc di liquidi
nel corso della notte, della terapia farmacologia prescritta, e degli altri presidi
tempestivamente praticabili, solo che fossero stati svolti gli accertamenti “urgenti” prescritti
dall’anestesista, o ritenuti necessari dal controllo medico che in alcun modo può mancare
nella fase post operatoria di un intervento talmente delicato, sarebbero stati tali da
certamente evitare l’evento al quale si è pervenuti attraverso un iter che la Corte di merito
ha descritto e qualificato come di totale abbandono. E ciò solo che l’imputato avesse
“eletto”, al fine di trasferire la propria posizione di garanzia, in maniera adeguatamente
oculata i soggetti che avrebbero dovuto seguire poi il decorso post operatorio del paziente,
nella immediatezza del suo ritorno in reparto, e nelle seguenti ore della notte.
Può dunque affermarsi che, nel caso del dottor D. il rimprovero di non aver usato il
comportamento conseguente alla delicatissima posizione di garanzia che gli era
propria, in vista della fase post operatoria, trasferendo tale posizione ad un reparto
che egli sapeva (o avrebbe dovuto sapere) affidato solo a personale paramedico
(indipendentemente dalla competenza diligenza e scrupolo che costoro
possedessero) certamente non in grado di far fronte all’assistenza di pazienti
appena sottoposti ad interventi di alta chirurgia, ed ad un medico di guardia per
contratto disponibile solo dietro chiamata o “a richiesta”, è stato ineccepibilmente
motivato.
Infatti, in tali condizioni, si può dire che egli ha abbandonato il paziente a sé stesso,
avendo la piena consapevolezza di tale abbandono.
Che poi, da tale situazione di abbandono sia derivata la incredibile mancata pratica delle
cure e somministrazioni di liquidi che lo stesso primario aveva ordinato, e che da questa
sia derivato il progressivo deterioramento delle funzioni vitali del paziente che, avendo
perduto già plasma durante l’intervento (1000 mi), ne continuava a perdere per
sanguinamento da ulcera, sino a pervenire allo shock ipovolemico, è fatto che risulta
chiaramente attraverso la ricostruzione della dinamica degli eventi caratterizzata dalla
totale assenza di assistenza e controllo del malato, pur in presenza di numerose
segnalazioni di dati allarmanti sul decorso post operatorio, da parte della moglie e
dell’amica di famiglia che ne seguirono impotenti il percorso verso l’irreparabile. Ma di tali
successive e gravi omissioni il ricorrente non può valersi quale scusante della propria
condotta omissiva, in quanto vale qui la regola sempre affermato da questa Suprema
Corte e secondo la quale chi versa in colpa non può invocare a propria scusante la
condotta colposa altrui.
In materia, per altro, il condiviso orientamento di questa Suprema Corte è nel senso che
gli operatori di una struttura sanitaria, medici e paramedici, sono tutti “ex lege” portatori di
una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente
imposto ex articolo 2 e 32 Costituzione nei confronti dei pazienti, la cui salute essi devono
tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità; e l’obbligo di protezione
perdura per l’intero tempo del turno di lavoro. (Cassazione penale, Sezione quarta, 2
marzo 2000 n. 9638, Troiano). Si che correttamente la Corte di merito ha ritenuto che il
ricorrente non abbia adempiuto al proprio obbligo nei termini di cui innanzi.
Sul nesso eziologico, ritiene questa Corte integrare sufficientemente l’obbligo della
motivazione imposto al Giudice di merito la sua individuazione nella mancata esecuzione
della radiografia del torace e degli accertamenti prescritti dall’anestesista, nella mancata
indicazione delle necessarie disposizioni “scritte ed orali” al personale medico e
paramedico cui il paziente veniva affidato nella fase post -operatoria, tanto che nulla di
tutto ciò fu praticato al S. né nell’immediato e nemmeno nel corso di tutta la notte.
Da tali omessi controlli e terapie, conseguirono le insorgenze che condussero a morte il
paziente. Omissioni imputabili innanzi di ogni altro al D., a titolo di colpa integrata dal
connotato della imprudenza e della negligenza. Ove tutto ciò non fosse stato omesso,
deduce la impugnata sentenza, l’evento si sarebbe evitato.
La sentenza de qua ha inoltre bene evidenziato che, per altro, egli sapeva bene che -
come prima già indicato - la sua posizione di garanzia non veniva trasmessa a personale
sanitario idoneo a riceverla (e pertanto con culpa in eligendo), ed anzi che veniva trasferita
praticamente a nessuno.
Tale condotta è stata ritenuta idonea a determinare nel paziente quella ulteriore perdita di
liquido ematico che, sommata alla perdita subita durante l’intervento, ed in assenza di
reintegrazione di liquidi, di terapia alcuna e di controllo medico, ha determinato il
progressivo scadimento delle complessive condizioni vitali del S. che, solo dopo un tempo
individuato attorno alle sei e trenta del mattino (ora fino alla quale è stata ritenuta la
possibilità di un intervento idoneo a salvare la vita del paziente) è divenuto irreversibile. Da
qui la corretta contestazione della cooperazione colposa con il medico di guardia e con il
personale infermieristico, i quali tutti hanno inserito una condotta parte, utile elemento ai
fini della determinazione dell’evento; né sembra del tutto peregrina la critica alla sentenza,
di qualche difensore, in sede di discussione, secondo cui non riesce comprensibile come
sia stata assolta la specializzanda dott L., rimasta nel turno notturno a presidiare il reparto
in relazione proprio ai compiti specifici del dott. D., presso il cui reparto la stessa svolgeva
la sua attività, la quale, informata dalla moglie del paziente del peggioramento delle
condizioni del marito, non si attivò personalmente con adeguate iniziative, nella sua qualità
di medico, non chiamò il medico di guardia, e nemmeno controllò il (non) normale
funzionamento della flebo e la (mancata) assunzione delle cure anche farmacologiche
prescritte dall’anestesista e dal suo stesso direttore al momento di rinviare il S. al reparto
di terapia intensiva.
Quanto alla impugnazione proposta dal D., pertanto- assorbita in quanto precedentemente
osservato ogni ulteriore considerazione critica formulata nell’interesse del ricorrente - il
ricorso dove essere ritenuto infondato in ogni sua parte, al limite della inammissibilità, e
deve essere pertanto integralmente rigettato.
Non diversa sorte può avere il ricorso del dottor G.
Deve infatti qui ricordarsi l’insegnamento di questa Corte, riferito innanzi in ordine alla
posizione del Dottor D., secondo il quale (vale la pena ricordarlo) gli operatori di una
struttura sanitaria, medici e paramedici, sono tutti “ex lege” portatori di una posizione di
garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex articolo 2 e
32 Costituzione, nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelare contro qualsivoglia
pericolo che ne minacci l’integrità - l’obbligo di protezione perdura per l’intero tempo del
turno di lavoro. (Cassazione penale, Sezione quarta, 9638/00, Troiano)
Egli ritorna a porre in discussione, con il suo ricorso, la causa mortis, a suo parere
imperscrutabile per la (certo assai colpevole) mancata esecuzione dei dovuto esame
autoptico sul cadavere
E tuttavia, come detto qui prima, in relazione alla posizione dei Dottor D., tale causa della
morte è stata individuata dalla Corte di merito in maniera dei tutto inequivoca e
categoricamente addossata alla responsabilità degli imputati, fra i quali spicca il ricorrente
per la totale sua assenza di controllo dovuto, a giudizio di questa Corte, nei termini e per le
previsioni normative indicate nella prima riferita pronuncia ad inizio di turno e poi durante
tutto il corso della notte. E ciò, indipendentemente dai suoi obblighi contrattuali.
Senza ritornare a valutate gli esiti peritali poiché questa Corte non deve effettuare
incursioni negli atti probatori, limitandosi solo ad esaminare gli atti impugnati e gli atti
d’impugnazione onde valutare la coerenza logica dei primi, e la capacità di questi a
resistere alla critiche di ricorso (Sezione Prima, 10 febbraio 2000, n. 94). basta osservare
che, proprio in applicazione dei principi costituzionali indicati dalla pronuncia n. 963812000
di questa Corte, ed in considerazione, dunque, della tenutezza dei medico, cui era affidato
il reparto, di previamente informarsi quanto meno delle situazioni di emergenza esistenti al
momento della sua assunzione di responsabilità e di garanzia (e certamente tale era
quella della persona offesa per le ripetute ragioni connesse alla delicatezza dei subito
intervento ed alla necessità di essere seguito con attenzione particolare nella delicatissima
fase post operatoria), il ricorso alla clausola contrattuale che avrebbe configurato il suo
obbligo di intervento su chiamata (e poi, chiamata da parte di chi, nel caso di specie?) è
dei tutto privo di rilievo, come la corte di merito ha ritenuto, pronunciando nei confronti di
costui sentenza di condanna per le ragioni ivi spiegate secondo convincente, ragionevole
e condivise motivazione.
A pag. 21 di sentenza, infatti, la Corte evidenzia come fu proprio a causa del notevole
intervallo di tempo trascorso fra la comparsa di quei sintomi che avrebbero Imposto, se
doverosamente rilevati, l’instaurazione di una idonea terapia, ed il momento
dell’irreversibile aggravamento verificatosi dopo le ore 6,30” che ebbe a verificarsi l’evento,
specie In considerazione dei fatto che l’essere il paziente affidato ad una struttura “di
altissimo livello operativo (istituto policattedra di terapia di urgenza dei Policlinico di Bari)”
avrebbe dovuto consentire che, praticati nei tempi congrui gli interventi farmacologici e
chirurgici appropriati, fosse evitato l’evento. E conclude: “non ricorre nel caso di specie. in
base all’evidenza disponibile, alcuna incertezza, alcun ragionevole dubbio sulla reale
efficacia condizionante dell’omissione degli imputati.”
Nel suddetto modo appare dunque integrata, e in termini di ipotesi controfattuale, e in
termini di 1ormula logica” (SS.UU. Franzese, 2002), la responsabilità, fra gli albi, anche
dei dottor G.
Né vale il ricorso agli obblighi contrattuali, attesa la posizione di garanzia specifica che
ogni medico (o paramedico) ha nei confronti dei pazienti a lui affidati, e che deve espletare
nel rispetto dei principi costituzionali di cui agli artt 2 e 32, così come già più volte
affermato da questa Suprema Corte (una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo
di solidarietà costituzionalmente imposto ex art 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la
cui salute devono tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità; l’obbligo
di protezione perdura come già precisato per l’intero tempo dei turno di lavoro.
[Cassazione penale, sez. IV, 2 marzo 2000, n. 9638, Troiano).
Qui, dunque, non è questione di obbligo contrattuale di natura privatistica (a
amministrativistica), ma dell’esser venuto meno, il dottor G., al pari degli altri, all’esatto
adempimento dei debito di garanzia dovuto nei confronti del S., mediante la condotta che
gli è stata contestata, e che è stata di poi accertata nei termini di cui in sentenza, esenti da
qualsiasi vizio logico, oltre che anche genericamente giuridico, in funzione di un iter
argomentativo dei tutto ragionevole e convincente.
Inammissibili sono poi le censure all’accertamento di fatto che i secondo Giudici hanno
ritenuto, a seguito della considerazione degli esiti peritali; e questo per le ragioni di cui
l’insegnamento costante e condiviso di questa stessa Corte, a mente dei quale nel giudizio
di legittimità non è deducibile il vizio di travisamento dei fatto inteso come ipotesi di
contrasto fra le argomentazioni dei contesto motivazionale e gli atti processuale, sicché il
controllo demandato alla Corte di Cassazione. non può esplicarsi in indagini extratestuali
dirette a verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove, costituenti i dati fondanti
della decisione, siano effettivamente corrispondono alle acquisizioni probatorie risultanti
dagli atti del processo (Sezione Prima, 10 febbraio 2000 n. 94). Né scusante è che gli
infermieri non abbiano mai richiesto, durante la notte, il suo intervento, essendo dovere
e scrupolo di un medico, cui è affidato un reparto (specialmente quando si tratti di una
unità dai compiti evidentemente di speciale delicatezza, quale quella di terapia intensiva in
questione) quello di prendere immediata visione, raccogliendo la posizione di garanzia che
gli viene trasferita al momento della sua presa in carico dei reparto, delle specifiche
situazioni degli ammalati, a partire dalle situazioni più delicate (e non se ne immagina una
più critica di quella presentata dal S., in fase immediatamente post operatoria a seguito
della storia chirurgica di cui in sentenza), e dunque assicurandosi della corretta
instaurazione delle terapie prescritte o ritenuta necessarie, seguendo di persona
l’evolversi della situazione fino al cessare della condizione di rischio.
Obbligo e scrupolo cui il dottor G. come affermato in sentenza è stato ben lontano dai
corrispondere.
Per quanto detto, ed assorbita ogni altra considerazione, la infondatezza dei ricorso
conduce alla declaratoria di rigetto dello stesso.
A non diversa soluzione deve pervenirsi a seguito dell’esame del motivo presentato
dalle infermiere P. e C.
Anche costoro hanno contestato l’addebitabilità di ogni responsabilità a loro, attesa la
incertezza in ordine alla causa mortis dei paziente, per la mancata perizia autoptica.
Tuttavia, l’accertamento svolto in sentenza sulla base delle perizie fondate sulla
ricostruzione storica del fatto, non consente alcuna rivisitazione del giudizio di fatto che,
per le ragioni qui prima dette e ripetute, non si presta a censure in ordine all’ordito
argomentativo dello specifico decisum.
Certo è che il S. è morto perché non solo non tempestivamente «ma mai, durante l’intero
arco della notte (quasi dodici ore dal suo rientro In reparto dopo l’intervento chirurgico, e
fino al momento In cui le sue condizioni fisiche sono irrimediabilmente precipitate) costoro
raccolsero, come era loro preciso dovere, le preoccupazioni reiteratamente ed in maniera
allarmata prospettate dalla moglie del paziente e dall’infermiera, amica di famiglia, che
insieme a costei trascorse quelle ore attendendo inutilmente che qualcuno comprendesse
ciò che a loro appariva e non vi era certo necessità di specifica competenza il gravissimo
evolversi della situazione.
La Corte ha sottolineato, attraverso il riferimento alle parole “tranquillanti” di costoro
(innanzi alla esposizione dei sintomi su cui è inutile tornare, tanto essi sono chiari anche al
di là di qualunque più elementare nozione di esperienza medica o paramedica) quale sia
stata la condizione di totale assenza di qualsiasi apporto venuto da detto personale, se
non l’aver fornito otto coperte per far fronte alla crisi ipotermica di una persona, il S. che si
stava totalmente dissanguando e disidratando, Nemmeno hanno avvertito lo scrupolo di
chiamare il dottor G. che intanto stazionava nella propria stanza, secondo contratto.
In particolare la P., con il suo ricorso, percorre criticamente la ricostruzione degli eventi
delle ore notturne, in chiave alternativa rispetto a quella di cui in sentenza. Ma ciò non è
consentito nella presente sede di legittimità, per la ben nota preclusione rispetto ad ogni
rivisitazione del merito (già qui prima evidenziata) a condizione che l’apparato
argomentativo non presenti incongruità, così come non ne presenta la sentenza
sottoposta dunque a non puntuale ed utile critica, per quanto fin qui evidenziato.
Altrettanto fa la C., sempre prendendo lo spunto dalla incertezza sulle cause della morte
del paziente (incertezza che la sentenza non manifesta), per denunciare quindi mancanza
di nesso causale, difetto di prova in ordine alla responsabilità, vizio di motivazione e
travisamento del fatto.
Ma, posto che sul nesso di causalità - anche con specifico riferimento alla posizione di
costei - la Corte di merito ha detto in maniera ineccepibile (e la “anonima correzione” -
meglio sarebbe parlare di falsificazione della cifra relativa alla quantità di urine contenute
nella sacca al momento del precipitoso ed inutile trasferimento del paziente al reparto
rianimazione, praticamente già privo di vita, è ulteriore prova della grave omissione posta
in essere dal personale infermieristico e del tentativo di “ripararvi” in chiave difensiva), ogni
altra alternativa lettura degli elementi probatori valutati (o anche non valutati perché
implicitamente ritenuti inconducenti) non può costituire argomento d’impugnazione in sede
di legittimità.
Anche tale ricorso, prevalentemente in fatto, non può trovare l’atteso riscontro censorio, e
deve rigettato anche a ragione della sua pressoché manifesta infondatezza.
Al rigetto dei ricorsi di tutti gli imputati segue la condanna di costoro, in solido, alle spese.
P.Q.M.
Visti gli articoli 615 e 616 Cpp, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al
pagamento delle spese processuali. Li condanna altresì al pagamento in solido delle
spese civili del giudizio di Cassazione in favore delle parti civili M. Anna Maria, S.
Pierpaolo e S. Caterina, liquidandole in complessivi euro 6.000,00 (comprese le spese).
Così deciso in Roma, 1° dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria oggi 11 marzo 2005.
lunedì 15 giugno 2009
Il Codice Deontologico 2009
Il Codice deontologico 2009
Approvato dal Comitato centrale della Federazione con deliberazione n. 1/09 del 10 gennaio 2009 e dal Consiglio nazionale dei Collegi Ipasvi riunito a Roma nella seduta del 17 gennaio 2009
Approvato dal Comitato centrale della Federazione con deliberazione n. 1/09 del 10 gennaio 2009 e dal Consiglio nazionale dei Collegi Ipasvi riunito a Roma nella seduta del 17 gennaio 2009
Capo I
Articolo 1
L'infermiere è il professionista sanitario responsabile dell'assistenza infermieristica.
Articolo 2
L'assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività. Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa.
Articolo 3
La responsabilità dell'infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel prendersi cura dellapersona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell'individuo.
Articolo 4
L'infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali della persona.
Articolo 5
Il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e dei principi etici della professione è condizione essenziale per l'esercizio della professione infermieristica.
Articolo 6
L'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione.
Capo II
Articolo 7
L’infermiere orienta la sua azione al bene dell'assistito di cui attiva le risorse sostenendolo nel raggiungimento della maggiore autonomia possibile, in particolare, quando vi sia disabilità, svantaggio, fragilità.
Articolo 8
L’infermiere, nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, si impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. Qualora vi fosse e persistesse una richiesta di attività in contrasto con i principi etici della professione e con i propri valori, si avvale della clausola di coscienza, facendosi garante delle prestazioni necessarie per l’incolumità e la vita dell’assistito.
Articolo 9
L’infermiere, nell'agire professionale, si impegna ad operare con prudenza al fine di non nuocere.
Articolo 10
L'infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche attraverso l'uso ottimale delle risorse disponibili.
Capo III
Articolo 11
L'infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiorna saperi e competenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull'esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e partecipa ad attività di formazione. Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e cura la diffusione dei risultati.
Articolo 12
L’infermiere riconosce il valore della ricerca, dellasperimentazione clinica e assistenziale per l’evoluzione delle conoscenze e per i benefici sull’assistito.
Articolo 13
L'infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e ricorre, se necessario, all'intervento o alla consulenza di infermieri esperti o specialisti. Presta consulenza ponendo le proprie conoscenze ed abilità a disposizione della comunità professionale.
Articolo 14L’infermiere riconosce che l’interazione fra professionisti e l'integrazione interprofessionale sono modalità fondamentali per far fronte ai bisogni dell’assistito.
Articolo 15
L’infermiere chiede formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle quali non ha esperienza.
Articolo 16
L'infermiere si attiva per l'analisi dei dilemmi etici vissuti nell'operatività quotidiana e promuove il ricorso alla consulenza etica, anche al fine di contribuire all’approfondimento della riflessione bioetica.
Articolo 17
L’infermiere, nell'agire professionale è libero da condizionamenti derivanti da pressioni o interessi di assistiti, familiari,altri operatori, imprese, associazioni, organismi.
Articolo 18
L'infermiere, in situazioni di emergenza-urgenza, presta soccorso e si attiva per garantire l'assistenza necessaria. In caso di calamità si mette a disposizione dell'autorità competente.
Capo IV
Articolo 19
L'infermiere promuove stili di vita sani, la diffusione del valore della culturadella salute e della tutela ambientale, anche attraverso l’informazione e l'educazione. A tal fine attiva e sostiene la rete di rapporti tra servizi e operatori.
Articolo 20
L'infermiere ascolta, informa, coinvolge l’assistito e valuta con lui i bisogni assistenziali, anche al fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e facilitarlo nell’esprimere le proprie scelte.
Articolo 21
L'infermiere, rispettandole indicazioni espresse dall'assistito, ne favorisce i rapporti con la comunità e le persone per lui significative, coinvolgendole nel piano di assistenza. Tiene conto della dimensione interculturale e dei bisogni assistenziali ad essa correlati.
Articolo 22
L’infermiere conosce il progetto diagnostico-terapeutico per le influenze che questo ha sul percorso assistenziale e sulla relazione con l’assistito.
Articolo 23
L’infermiere riconosce il valore dell’informazione integrata multiprofessionale e si adopera affinché l’assistito disponga di tutte le informazioni necessarie ai suoi bisogni di vita.
Articolo 24
L'infermiere aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di natura assistenziale in relazione ai progetti diagnostico-terapeutici e adeguando la comunicazione alla sua capacità di comprendere.
Articolo 25
L’infermiere rispetta la consapevole ed esplicita volontà dell’assistito di non essere informatosul suo stato di salute, purché la mancata informazione non sia di pericolo per sé o per gli altri.
Articolo 26
L'infermiere assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi all’assistito. Nella raccolta, nella gestione e nel passaggio di dati, si limita a ciò che è attinente all’assistenza.
Articolo 27
L'infermiere garantisce la continuità assistenziale anche contribuendo alla realizzazione di una rete di rapporti interprofessionali e di una efficace gestione degli strumenti informativi.
Articolo 28
L'infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma per intima convinzione e come espressione concreta del rapporto di fiducia con l'assistito.
Articolo 29
L'infermiere concorre a promuovere le migliori condizioni di sicurezza dell'assistito e dei familiari e lo sviluppo della cultura dell’imparare dall’errore. Partecipa alle iniziative per la gestione del rischio clinico.
Articolo 30
L'infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali.
Articolo 31
L'infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l'opinione del minore rispetto alle scelte assistenziali, diagnostico-terapeutiche e sperimentali, tenuto conto dell'età e del suo grado di maturità.
Articolo 32
L'infermiere si impegna a promuovere la tutela degli assistiti che si trovano in condizioni che ne limitano lo sviluppo o l'espressione, quando la famiglia e il contesto non siano adeguati ai loro bisogni.
Articolo 33
L'infermiere che rilevi maltrattamenti o privazioni a carico dell’assistito mette in opera tutti i mezzi per proteggerlo, segnalando le circostanze, ove necessario, all'autorità competente.
Articolo 34
L'infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari.
Articolo 35
L'infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione clinica e fino al termine della vita all’assistito, riconoscendo l'importanza della palliazione e del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale.
Articolo 36
L'infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita.
Articolo 37
L’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato.
Articolo 38
L'infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene dall'assistito.
Articolo 39
L'infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento dell’assistito, in particolare nella evoluzione terminale della malattia e nel momento della perdita e della elaborazione del lutto.
Articolo 40
L'infermiere favorisce l’informazione e l’educazione sulla donazione di sangue, tessuti ed organi quale atto di solidarietàe sostiene le persone coinvolte nel donare e nel ricevere.
Capo V
Articolo 41
L'infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori di cui riconosce e valorizza lo specifico apporto all'interno dell'équipe.
Articolo 42
L'infermiere tutela la dignità propria e dei colleghi, attraverso comportamenti ispirati al rispetto e alla solidarietà.
Articolo 43
L'infermiere segnala al proprio Collegio professionale ogni abuso o comportamento dei colleghi contrario alla deontologia.
Articolo 44
L'infermiere tutela il decoro personale ed il proprio nome. Salvaguarda il prestigio della professione ed esercita con onestà l’attività professionale.
Articolo 45
L’infermiere agisce con lealtà nei confronti dei colleghi e degli altri operatori.
Articolo 46
L’infermiere si ispira a trasparenza e veridicità nei messaggi pubblicitari, nel rispetto delle indicazioni del Collegio professionale.
Capo VI
Articolo 47
L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad orientare le politiche e lo sviluppo del sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto dei diritti degli assistiti, l'utilizzo equo ed appropriato delle risorse e la valorizzazione del ruolo professionale.
Articolo 48
L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze o disservizi provvede a darne comunicazione ai responsabili professionali della struttura in cui opera o a cui afferisce il proprio assistito.
Articolo 49
L’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera. Rifiuta la compensazione, documentandone le ragioni, quando sia abituale o ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suo mandato professionale.
Articolo 50
L'infermiere, a tutela della salute della persona, segnala al proprio Collegioprofessionale le situazioni che possono configurare l’esercizio abusivo della professione infermieristica.
Articolo 51L'infermiere segnala al proprio Collegio professionale le situazioni in cui sussistono circostanze o persistono condizioni che limitano la qualità delle cure e dell’assistenza o il decoro dell'esercizio professionale.
Disposizioni finali
Le norme deontologiche contenute nel presente Codice sono vincolanti; la loro inosservanza è sanzionata dal Collegio professionale.Le norme deontologiche contenute nel presente Codice sono vincolanti; la loro inosservanza è sanzionata dal Collegio professionale.
I Collegi professionali si rendono garanti della qualificazione dei professionisti e della competenza da loro acquisita e sviluppata.
Articolo 1
L'infermiere è il professionista sanitario responsabile dell'assistenza infermieristica.
Articolo 2
L'assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività. Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa.
Articolo 3
La responsabilità dell'infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel prendersi cura dellapersona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell'individuo.
Articolo 4
L'infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali della persona.
Articolo 5
Il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e dei principi etici della professione è condizione essenziale per l'esercizio della professione infermieristica.
Articolo 6
L'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione.
Capo II
Articolo 7
L’infermiere orienta la sua azione al bene dell'assistito di cui attiva le risorse sostenendolo nel raggiungimento della maggiore autonomia possibile, in particolare, quando vi sia disabilità, svantaggio, fragilità.
Articolo 8
L’infermiere, nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, si impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. Qualora vi fosse e persistesse una richiesta di attività in contrasto con i principi etici della professione e con i propri valori, si avvale della clausola di coscienza, facendosi garante delle prestazioni necessarie per l’incolumità e la vita dell’assistito.
Articolo 9
L’infermiere, nell'agire professionale, si impegna ad operare con prudenza al fine di non nuocere.
Articolo 10
L'infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche attraverso l'uso ottimale delle risorse disponibili.
Capo III
Articolo 11
L'infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiorna saperi e competenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull'esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e partecipa ad attività di formazione. Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e cura la diffusione dei risultati.
Articolo 12
L’infermiere riconosce il valore della ricerca, dellasperimentazione clinica e assistenziale per l’evoluzione delle conoscenze e per i benefici sull’assistito.
Articolo 13
L'infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e ricorre, se necessario, all'intervento o alla consulenza di infermieri esperti o specialisti. Presta consulenza ponendo le proprie conoscenze ed abilità a disposizione della comunità professionale.
Articolo 14L’infermiere riconosce che l’interazione fra professionisti e l'integrazione interprofessionale sono modalità fondamentali per far fronte ai bisogni dell’assistito.
Articolo 15
L’infermiere chiede formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle quali non ha esperienza.
Articolo 16
L'infermiere si attiva per l'analisi dei dilemmi etici vissuti nell'operatività quotidiana e promuove il ricorso alla consulenza etica, anche al fine di contribuire all’approfondimento della riflessione bioetica.
Articolo 17
L’infermiere, nell'agire professionale è libero da condizionamenti derivanti da pressioni o interessi di assistiti, familiari,altri operatori, imprese, associazioni, organismi.
Articolo 18
L'infermiere, in situazioni di emergenza-urgenza, presta soccorso e si attiva per garantire l'assistenza necessaria. In caso di calamità si mette a disposizione dell'autorità competente.
Capo IV
Articolo 19
L'infermiere promuove stili di vita sani, la diffusione del valore della culturadella salute e della tutela ambientale, anche attraverso l’informazione e l'educazione. A tal fine attiva e sostiene la rete di rapporti tra servizi e operatori.
Articolo 20
L'infermiere ascolta, informa, coinvolge l’assistito e valuta con lui i bisogni assistenziali, anche al fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e facilitarlo nell’esprimere le proprie scelte.
Articolo 21
L'infermiere, rispettandole indicazioni espresse dall'assistito, ne favorisce i rapporti con la comunità e le persone per lui significative, coinvolgendole nel piano di assistenza. Tiene conto della dimensione interculturale e dei bisogni assistenziali ad essa correlati.
Articolo 22
L’infermiere conosce il progetto diagnostico-terapeutico per le influenze che questo ha sul percorso assistenziale e sulla relazione con l’assistito.
Articolo 23
L’infermiere riconosce il valore dell’informazione integrata multiprofessionale e si adopera affinché l’assistito disponga di tutte le informazioni necessarie ai suoi bisogni di vita.
Articolo 24
L'infermiere aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di natura assistenziale in relazione ai progetti diagnostico-terapeutici e adeguando la comunicazione alla sua capacità di comprendere.
Articolo 25
L’infermiere rispetta la consapevole ed esplicita volontà dell’assistito di non essere informatosul suo stato di salute, purché la mancata informazione non sia di pericolo per sé o per gli altri.
Articolo 26
L'infermiere assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi all’assistito. Nella raccolta, nella gestione e nel passaggio di dati, si limita a ciò che è attinente all’assistenza.
Articolo 27
L'infermiere garantisce la continuità assistenziale anche contribuendo alla realizzazione di una rete di rapporti interprofessionali e di una efficace gestione degli strumenti informativi.
Articolo 28
L'infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma per intima convinzione e come espressione concreta del rapporto di fiducia con l'assistito.
Articolo 29
L'infermiere concorre a promuovere le migliori condizioni di sicurezza dell'assistito e dei familiari e lo sviluppo della cultura dell’imparare dall’errore. Partecipa alle iniziative per la gestione del rischio clinico.
Articolo 30
L'infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali.
Articolo 31
L'infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l'opinione del minore rispetto alle scelte assistenziali, diagnostico-terapeutiche e sperimentali, tenuto conto dell'età e del suo grado di maturità.
Articolo 32
L'infermiere si impegna a promuovere la tutela degli assistiti che si trovano in condizioni che ne limitano lo sviluppo o l'espressione, quando la famiglia e il contesto non siano adeguati ai loro bisogni.
Articolo 33
L'infermiere che rilevi maltrattamenti o privazioni a carico dell’assistito mette in opera tutti i mezzi per proteggerlo, segnalando le circostanze, ove necessario, all'autorità competente.
Articolo 34
L'infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari.
Articolo 35
L'infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione clinica e fino al termine della vita all’assistito, riconoscendo l'importanza della palliazione e del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale.
Articolo 36
L'infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita.
Articolo 37
L’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato.
Articolo 38
L'infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene dall'assistito.
Articolo 39
L'infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento dell’assistito, in particolare nella evoluzione terminale della malattia e nel momento della perdita e della elaborazione del lutto.
Articolo 40
L'infermiere favorisce l’informazione e l’educazione sulla donazione di sangue, tessuti ed organi quale atto di solidarietàe sostiene le persone coinvolte nel donare e nel ricevere.
Capo V
Articolo 41
L'infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori di cui riconosce e valorizza lo specifico apporto all'interno dell'équipe.
Articolo 42
L'infermiere tutela la dignità propria e dei colleghi, attraverso comportamenti ispirati al rispetto e alla solidarietà.
Articolo 43
L'infermiere segnala al proprio Collegio professionale ogni abuso o comportamento dei colleghi contrario alla deontologia.
Articolo 44
L'infermiere tutela il decoro personale ed il proprio nome. Salvaguarda il prestigio della professione ed esercita con onestà l’attività professionale.
Articolo 45
L’infermiere agisce con lealtà nei confronti dei colleghi e degli altri operatori.
Articolo 46
L’infermiere si ispira a trasparenza e veridicità nei messaggi pubblicitari, nel rispetto delle indicazioni del Collegio professionale.
Capo VI
Articolo 47
L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad orientare le politiche e lo sviluppo del sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto dei diritti degli assistiti, l'utilizzo equo ed appropriato delle risorse e la valorizzazione del ruolo professionale.
Articolo 48
L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze o disservizi provvede a darne comunicazione ai responsabili professionali della struttura in cui opera o a cui afferisce il proprio assistito.
Articolo 49
L’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera. Rifiuta la compensazione, documentandone le ragioni, quando sia abituale o ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suo mandato professionale.
Articolo 50
L'infermiere, a tutela della salute della persona, segnala al proprio Collegioprofessionale le situazioni che possono configurare l’esercizio abusivo della professione infermieristica.
Articolo 51L'infermiere segnala al proprio Collegio professionale le situazioni in cui sussistono circostanze o persistono condizioni che limitano la qualità delle cure e dell’assistenza o il decoro dell'esercizio professionale.
Disposizioni finali
Le norme deontologiche contenute nel presente Codice sono vincolanti; la loro inosservanza è sanzionata dal Collegio professionale.Le norme deontologiche contenute nel presente Codice sono vincolanti; la loro inosservanza è sanzionata dal Collegio professionale.
I Collegi professionali si rendono garanti della qualificazione dei professionisti e della competenza da loro acquisita e sviluppata.
Spese deducibili nella denuncia dei redditi.
Colleghi ecco le spese deducibili all'atto della dichiarazione dei redditi.
-Mutuo prima casa, detrazione del 19% sugli interessi passivi, utile, se si paga il 5% annuo con il rimborso diventa un 4.
-Sostituzione frigoriferi classe A+, se nel 2008 hai sostituito il frigorifero, conserva la ricevuta.
-Giovani che hanno trasferito la residenza, viene data una detrazione di imposta ma solo se il reddito è non superiore a 15000, una cosa interessante per chi ha iniziato a lavorare e ha un reddito 2008 basso.
-Retta dell'asilo nido, per ogni figlio detrazione del 19% per un massimo di 632 euro, a Bologna si raggiungono con meno di 1 rata e mezzo, piuttosto che niente.
-Attività sportiva dei ragazzi da 5 a 18 anni detrazione d'imposta del 19% per un massino di 210 euro per figlio a carico.
-Affitto studenti universitari fuori sede, la detrazione spetta per studenti che sono iscritti ad un corso che dista almeno 100km dalla residenza... e che hanno un contratto di affitto.
-Abbonamento ai trasporti pubblici, detrazione anche se scade nell'anno successivo e anche se fatto da famigliari, per un massimo di 250 euro complessivi.
-Mutuo prima casa, detrazione del 19% sugli interessi passivi, utile, se si paga il 5% annuo con il rimborso diventa un 4.
-Sostituzione frigoriferi classe A+, se nel 2008 hai sostituito il frigorifero, conserva la ricevuta.
-Giovani che hanno trasferito la residenza, viene data una detrazione di imposta ma solo se il reddito è non superiore a 15000, una cosa interessante per chi ha iniziato a lavorare e ha un reddito 2008 basso.
-Retta dell'asilo nido, per ogni figlio detrazione del 19% per un massimo di 632 euro, a Bologna si raggiungono con meno di 1 rata e mezzo, piuttosto che niente.
-Attività sportiva dei ragazzi da 5 a 18 anni detrazione d'imposta del 19% per un massino di 210 euro per figlio a carico.
-Affitto studenti universitari fuori sede, la detrazione spetta per studenti che sono iscritti ad un corso che dista almeno 100km dalla residenza... e che hanno un contratto di affitto.
-Abbonamento ai trasporti pubblici, detrazione anche se scade nell'anno successivo e anche se fatto da famigliari, per un massimo di 250 euro complessivi.
sabato 13 giugno 2009
L'infermiere di famiglia.. che ne pensate?
L’INFERMIERE DI FAMIGLIA È UN PROFESSIONISTA SANITARIO
CHE PROGETTA, ATTUA, VALUTA INTERVENTI DI PROMOZIONE,
PREVENZIONE, EDUCAZIONE E FORMAZIONE. E’ COLUI CHE SI
OCCUPA DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA ALL’INDIVIDUO E
ALLA COLLETTIVITÀ; SOSTIENE INTERVENTI DI RICERCA,
INDAGINI EPIDEMIOLOGICHE IN COMUNITÀ E IN AMBITO
FAMIGLIARE PROMUOVENDO AZIONI EDUCATIVE E PREVENTIVE
OLTRE CHE CURATIVE.
RUOLO DELL’INFERMIERE DI FAMIGLIA: è quello di aiutare gli individui
e famiglie ad affrontare la malattia e la disabilità cronica, nei periodi difficili,
trascorrere una gran parte del suo tempo lavorando nelle case dei pazienti e
delle loro famiglie. Inoltre “l’infermiere di famiglia sarà in grado di informare
sui fattori di rischio legati agli stili di vita e ai comportamenti ed assisterà le
famiglie in tutto ciò che concerne la salute tramite una individuazione precoce
dei problemi sanitari potendo far si che i problemi sanitari emersi nelle
famiglie siano affrontati a uno stadio iniziale ....”. L’infermiere di famiglia, a
seguito di una preparazione specifica, sarà in grado di agire sul territorio,
3
conoscerà la mappa dei servizi sociali, avrà la competenza di instaurare un
rapporto diretto, non solo con il malato, ma anche con la persona sana ,
occupandosi delle sue necessità, e aiutandolo insieme con la sua famiglia ad
evitare rischi sanitari. Gli infermieri di famiglia faciliteranno le dimissioni
precoci dagli ospedali, fornendo assistenza infermieristica a domicilio;
agiranno da tramite tra la famiglia e il medico di base, sostituendosi a
quest’ultimo quando i bisogni identificati sono di carattere
prevalentemente infermieristico.
CHE PROGETTA, ATTUA, VALUTA INTERVENTI DI PROMOZIONE,
PREVENZIONE, EDUCAZIONE E FORMAZIONE. E’ COLUI CHE SI
OCCUPA DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA ALL’INDIVIDUO E
ALLA COLLETTIVITÀ; SOSTIENE INTERVENTI DI RICERCA,
INDAGINI EPIDEMIOLOGICHE IN COMUNITÀ E IN AMBITO
FAMIGLIARE PROMUOVENDO AZIONI EDUCATIVE E PREVENTIVE
OLTRE CHE CURATIVE.
RUOLO DELL’INFERMIERE DI FAMIGLIA: è quello di aiutare gli individui
e famiglie ad affrontare la malattia e la disabilità cronica, nei periodi difficili,
trascorrere una gran parte del suo tempo lavorando nelle case dei pazienti e
delle loro famiglie. Inoltre “l’infermiere di famiglia sarà in grado di informare
sui fattori di rischio legati agli stili di vita e ai comportamenti ed assisterà le
famiglie in tutto ciò che concerne la salute tramite una individuazione precoce
dei problemi sanitari potendo far si che i problemi sanitari emersi nelle
famiglie siano affrontati a uno stadio iniziale ....”. L’infermiere di famiglia, a
seguito di una preparazione specifica, sarà in grado di agire sul territorio,
3
conoscerà la mappa dei servizi sociali, avrà la competenza di instaurare un
rapporto diretto, non solo con il malato, ma anche con la persona sana ,
occupandosi delle sue necessità, e aiutandolo insieme con la sua famiglia ad
evitare rischi sanitari. Gli infermieri di famiglia faciliteranno le dimissioni
precoci dagli ospedali, fornendo assistenza infermieristica a domicilio;
agiranno da tramite tra la famiglia e il medico di base, sostituendosi a
quest’ultimo quando i bisogni identificati sono di carattere
prevalentemente infermieristico.
mercoledì 10 giugno 2009
IPOTESI DI CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO
CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO
DEL COMPARTO SANITA’PARTE ECONOMICA II BIENNIO 2008-2009
Disposizioni generaliArt. 1Campo di applicazione, durata e decorrenza del contratto1. Il presente contratto si applica a tutto il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e a tempo determinato dipendente da tutte le amministrazioni del comparto indicate all’art. 10 del CCNQ sulla definizione dei comparti di contrattazione collettiva del 11 giugno 2007. 2. Il presente contratto si riferisce al periodo dal 1 gennaio 2008 al 31 dicembre 2009 e concerne gli istituti giuridici e del trattamento economico di cui ai successivi articoli. 3. Per quanto non previsto dal presente contratto restano in vigore le norme dei precedenti CCNL.
Parte I
Art. 2
Coordinamento regionale
1. L’art. 7 del CCNL 19.4.2004 è integrato nel seguente modo:
- Al comma 1, primo capoverso, dopo le parole “le Regioni” sono aggiunte le seguenti parole “entro 90 giorni dall’entrata in vigore del presente contratto, previo confronto con le organizzazioni sindacali firmatarie dello stesso” ;
- al comma 1, dopo la lettera d), è aggiunta la seguente lettera: e)Linee di indirizzo in materia di prestazioni aggiuntive del personale infermieristico e tecnico di radiologia;- Dopo il comma 3 sono inseriti i seguenti commi 3bis e 3ter:
“3bis. Ferma rimanendo l’autonomia aziendale il sistema delle relazioni sindacali regionali, secondo i protocolli definiti in ciascuna regione con le OO.SS. di categoria firmatarie del presente CCNL, prevederà gli argomenti e le modalità di confronto con le medesime su materie non contrattuali aventi riflessi sul rapporto di lavoro. In tale ambito le Regioni svolgono opportuni confronti e verifiche con le OO.SS. al fine di valutare, sotto il profilo delle diverse implicazioni normativo-contrattuali, le problematiche connesse al lavoro precario e ai processi di stabilizzazione, tenuto conto della garanzia di continuità nell’erogazione dei LEA, anche in relazione alla scadenza dei contratti a termine.”
- “3ter. Ove le Regioni esplicitamente dichiarino, entro trenta giorni dalla data in vigore del CCNL, di non avvalersi, della facoltà di emanare linee di indirizzo sulle materie di cui al comma 1, le stesse costituiscono oggetto delle relazioni sindacali aziendali nell’ambito dei livelli per ciascuna di esse previsti dal presente contratto anche prima della scadenza dei 90 giorni previsti dal comma 1 medesimo.”
Art. 3
Mobilità interna
1. L’art. 18, comma 2, del CCNL integrativo del 20.9.2001, è così sostituito:
“2. L’Azienda, nell’esercizio del proprio potere organizzatorio, per comprovate ragioni tecniche o organizzative, nel rispetto dell’art. 2103 del codice civile, dispone l’impiego del personale nell’ambito delle strutture situate nel raggio di venticinque chilometri dalla località di assegnazione, previa informazione ai soggetti di cui all’art. 9, comma 2 del CCNL 7.4.1999. Non si configura in ogni caso quale mobilità, disciplinata dal presente articolo, lo spostamento del dipendente all’interno della struttura di appartenenza, anche se in ufficio, unità operativa o servizio diverso da quello di assegnazione, in quanto rientrante nell’ordinaria gestione del personale affidata al dirigente responsabile.2. All’art. 18 del CCNL integrativo del 20.9.2001, dopo il comma 2, è inserito il seguente comma 2.bis:
“2.bis. Deroghe in misura inferiore all’ambito territoriale di cui al comma 2 possono essere previste in sede di confronto regionale, ai sensi dell’art. 7 del CCNL 19.4.2004 tenuto conto, in particolare, delle problematiche legate alle dimensioni territoriali delle aziende, alla conformazione fisica del territorio e alle condizioni di viabilità e delle reti di trasporto pubblico ed altre situazioni valutabili in tale sede.”3. All’art. 18 del CCNL integrativo del 20.9.2001, dopo il comma 4, è inserito il seguente comma 4.bis:
“4.bis. In caso di ristrutturazione su dimensione regionale o sovra aziendale degli enti del SSN che comportino l’accorpamento, anche parziale, di strutture appartenenti a separati enti, i criteri circa la mobilità del personale interessato, nel rispetto della categoria, profilo professionale, disciplina ove prevista e posizione economica di appartenenza del dipendente, possono essere affrontate in sede di confronto regionale ai sensi dell’art. 7 del CCNL 19.4.2004”
Art. 4Mensa
1. L’art. 29, comma 1 del CCNL integrativo del 20.9.2001, è così modificato:
“1. Le aziende, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, garantire l’esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive. In ogni caso l’organizzazione e la gestione dei suddetti servizi, rientrano nell’autonomia gestionale delle aziende, mentre resta ferma la competenza del CCNL nella definizione delle regole in merito alla fruibilità e all’esercizio del diritto di mensa da parte dei lavoratori.
2. L’art. 29, comma 4 del CCNL integrativo del 20.9.2001, è così modificato:“4. Le Regioni, sulla base di rilevazioni relative al costo della vita nei diversi ambiti regionali e al contesto socio-sanitario di riferimento, possono fornire alle aziende indicazioni in merito alla valorizzazione - nel quadro delle risorse disponibili - dei servizi di mensa nel rispetto della partecipazione economica del dipendente finora prevista. Nel caso di erogazione dell’esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive, queste ultime non possono comunque avere un valore economico inferiore a quello in atto ed il dipendente è tenuto a contribuire nella misura di un quinto del costo unitario del pasto. Il pasto non è monetizzabile.”
Art. 5Principi in materia di compensi per la produttività
1. Le parti confermano la disciplina della produttività collettiva per il miglioramento dei servizi, dettata dall’art. 47 del CCNL 1.9.1995, ribadendo gli ordinari principi in materia di premialità, con particolare riferimento alla natura e ai contenuti dei sistemi incentivanti la produttività e alla conseguente necessità di valutare l’effettivo apporto partecipativo dei lavoratori coinvolti negli stessi. In caso di assenza, l’apporto individuale del dipendente è valutato in relazione all’attività di servizio svolta ed ai risultati conseguiti e verificati, nonché sulla base della qualità e quantità della sua partecipazione ai progetti e programmi di produttività.
Parte IITrattamento economicoArt. 6Stipendio tabellare, fasce e trattamento economico iniziale 1. Il trattamento economico tabellare delle posizioni iniziali e di sviluppo delle diverse categorie, come definiti dall’ art. 7 del CCNL del 10 aprile 2008, è incrementato degli importi mensili lordi, per tredici mensilità, indicati nella Tabella A, allegata al presente CCNL ed alle scadenze ivi previste.
2. Gli importi annui degli stipendi tabellari risultanti dall’applicazione del comma 1 sono rideterminati nelle misure e alle scadenze stabilite dalla allegata Tabella B, ove è anche indicato l’importo del trattamento economico iniziale delle categorie. .
3. Gli importi delle fasce retributive sono rideterminati nei valori indicati nelle Tabelle C e D alle scadenze ivi previste e calcolati sul valore del trattamento economico iniziale di cui al comma 2.
4. Gli incrementi di cui al comma 1 comprendono ed assorbono l’indennità di vacanza contrattuale per il biennio 2008 – 2009, qualora corrisposta ai sensi dell’art. 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203.
Art. 7
Fondo per i compensi di lavoro straordinario e per la remunerazione di particolari condizioni di disagio, pericolo o danno
1. Il fondo per il finanziamento dei compensi di lavoro straordinario e per la remunerazione di particolari condizioni di disagio, pericolo o danno, di cui all’art. 8 del CCNL 10 aprile 2009, è confermato a decorrere dal 1 gennaio 2008. Il suo ammontare a tale data è quello consolidato al 31 dicembre 2007. Sono altresì confermate tutte le modalità di utilizzo previste dal citato art. 8.
Art. 8
Fondo della produttività collettiva per il miglioramento dei servizi e per il premio della qualità delle prestazioni individuali
1. Il fondo della produttività collettiva per il miglioramento dei servizi e per il premio della qualità delle prestazioni individuali, di cui all’art. 9 del CCNL 10 aprile 2008 è confermato a decorrere dal 1 gennaio 2008. Il suo ammontare a tale data è quello consolidato al 31 dicembre 2007, con le precisazioni contenute nel comma 2 dell’art. 30 del CCNL 19 aprile 2004.
2. Dal 1 gennaio 2008 il fondo stesso continua ad essere alimentato dalle medesime voci indicate nelle lettere b), c) e d) del comma 2 dell’art. 9 del CCNL 10 aprile 2008.
3.Dal 1 gennaio 2008 il fondo continua ad essere altresì alimentato dalla voce indicata nella lettera a) del comma 2 dell’art. 9 del CCNL 10 aprile 2008 fino alla data di entrata in vigore del DL 112/2008 convertito con L. 133/2008.
4. E’ altresì confermato il comma 3 dell’art. 9 del CCNL 10 aprile 2008.
Art. 9
Fondo per il finanziamento delle fasce retributive, delle posizioni organizzative, del valore comune delle ex indennità di qualificazione
professionale e dell’indennità professionale specifica.
1. Il fondo per il finanziamento delle fasce retributive, delle posizioni organizzative, del valore comune delle ex indennità di qualificazione professionale e dell’indennità professionale specifica, di cui all’art.10 del CCNL 10 aprile 2008, è confermato a decorrere dal 1 gennaio 2008 per le modalità di utilizzo nonché di incremento previste al comma 1 del medesimo articolo.Il suo ammontare a tale data è quello consolidato al 31 dicembre 2007.2. A decorrere dal 1.1.2008 e dal 1.1.2009 il fondo deve essere rivalutato automaticamente in rapporto al nuovo valore delle fasce attribuite ai dipendenti che gravano sul fondo stesso, incrementate e finanziate dal presente contratto nelle misure indicate nella tabella A.
Art. 10Progetti e programmi per il miglioramento dei servizi all’utenza
1. Al fine di dare maggiore impulso ai processi di innovazione, le Aziende promuovono specifici progetti programmi o piani di lavoro per il miglioramento dei servizi rivolti all’utenza, con particolare riferimento alla piena adeguatezza dei sistemi organizzativi, nonché al conseguimento di una maggiore corrispondenza tra le prestazioni rese e le esigenze del cittadino. 2. I progetti e programmi di cui al comma 1, devono corrispondere ad esigenze effettive dell’Azienda ed apportare un concreto e misurabile contributo aggiuntivo alla attività ordinaria soprattutto per quanto riguarda gli obiettivi di riduzione delle liste di attesa e alla piena e qualificata erogazione dei livelli essenziali di assistenza, ivi compreso l’ampliamento degli orari delle strutture.
3. Ciascuna Regione, con specifica direttiva, individua, a valere dall’anno 2009, quali ulteriori risorse, lo 0,8% annuo, calcolato sul monte salari 2007, per il finanziamento dei progetti innovativi di cui ai commi precedenti, fatto salvo il rispetto dei Patti per la salute e dei relativi obiettivi e vincoli economici e finanziari. Dette risorse non sono oggetto di consolidamento in alcuno dei fondi previsti dal presente CCNL e non possono finanziare voci del trattamento fondamentale della retribuzione.
4. Le suddette risorse sono erogate a consuntivo, previa verifica dell’effettivo raggiungimento degli obiettivi di cui ai commi precedenti, ai dipendenti direttamente coinvolti nell’ambito di tali progetti, secondo appositi meccanismi premiali correlati ai risultati conseguiti.
Parte IIINorme generali e finali
Art. 11Effetti dei nuovi stipendi
1. Le misure degli stipendi risultanti dall’applicazione del presente contratto hanno effetto sulla tredicesima mensilità, sul compenso per lavoro straordinario, sul trattamento ordinario di quiescenza, normale e privilegiato, sull’indennità di buonuscita, sul TFR, sull’indennità di cui all’art. 13, comma 4 ed all’art. 15, comma 7 del CCNL del 10 aprile 2008, sull’equo indennizzo, sulle ritenute assistenziali e previdenziali e relativi contributi, comprese la ritenuta in conto entrata Tesoro od altre analoghe ed i contributi di riscatto. 1. I benefici economici risultanti dalla applicazione dell’art. 2 sono corrisposti integralmente alle scadenze e negli importi previsti al personale comunque cessato dal servizio, con diritto a pensione, nel periodo di vigenza del biennio economico 2008-2009. Agli effetti dell’indennità di buonuscita, di licenziamento, nonché quella prevista dall’art. 2122 c.c. si considerano solo gli scaglionamenti maturati alla data di cessazione del rapporto di lavoro.2. Resta confermato quanto previsto dall’art. 12, comma 3 del CCNL del 10 aprile 2008.
Art. 12Norme finali1. Le parti si danno atto che è necessario procedere alla correzione del seguente errore materiale rinvenuto nell’art. 12 del CCNL 10.4.2008:
- art. 12, comma 1, primo periodo: le parole “di cui all’art. 8” sono sostituite dalle seguenti “di cui all’art. 7”.
2. In materia di prestazioni aggiuntive, si rinvia a quanto stabilito nell’art. 1 del DL 402/2001, convertito in L. 1/2002 e s.m.i.
3. In considerazione della rilevanza e della complessità della materia degli incarichi di coordinamento e specialistici, di cui alla L. 43/2006, nonché di posizione organizzativa, le parti affronteranno in maniera organica e completa la tematica del sistema di valorizzazione della responsabilità e dell’autonomia professionale nella prossima tornata contrattuale
DICHIARAZIONE CONGIUNTA N. 1Con riferimento al comma 3bis dell’art 7, del CCNL del 19.4.2004, come modificato dall’art. 2 del presente CCNL, le parti convengono che le verifiche ivi indicate, in prima applicazione, ove non già effettuate, debbano essere svolte entro il 30 giugno 2009, anche al fine di valutare la possibilità di rinnovo o proroga dei contratti a termine, ai sensi di quanto previsto dalla normativa vigente.
DICHIARAZIONE CONGIUNTA N. 2Le parti si danno atto che i principi ribaditi nell’art. 5 sono funzionali all’applicazione dell’art. 71, comma 5 del D.L. 112/2008, convertito in L. 133/2008, sono applicati anche con riferimento alle sotto indicate fattispecie: a) permessi retribuiti per donatori di midollo osseo di cui all’art. 5 della L. 6-3-2001 n. 52;b) assenze per attività di volontariato di cui all’art. 9 del D.P.R. 8-2-2001 n. 194;c) permessi di cui alla L. 104/1992;d) congedi parentali di cui al D.Lgs. 151/2001;e) permessi di cui all’art. 21, comma 2, con riguardo in particolare a screening o prevenzione oncologica.Le parti si danno altresì atto che in materia di trattamento economico nei casi di assenza per malattia, di cui all’art. 71, comma 1 del D.L. 112/2008, convertito in L. 133/2008, ai fini di una corretta applicazione si potrà fare riferimento alle circolari e note interpretative nel frattempo emanate.
DICHIARAZIONE CONGIUNTA N. 3Le parti, con riferimento all’art. 10, si danno atto che il riferimento ai Patti per la salute attiene esclusivamente alle risorse dello 0,8% e non ai fondi contrattuali già consolidati.
Ipotesi CCNL comparto Sanita_14.05.09.pdf
DEL COMPARTO SANITA’PARTE ECONOMICA II BIENNIO 2008-2009
Disposizioni generaliArt. 1Campo di applicazione, durata e decorrenza del contratto1. Il presente contratto si applica a tutto il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e a tempo determinato dipendente da tutte le amministrazioni del comparto indicate all’art. 10 del CCNQ sulla definizione dei comparti di contrattazione collettiva del 11 giugno 2007. 2. Il presente contratto si riferisce al periodo dal 1 gennaio 2008 al 31 dicembre 2009 e concerne gli istituti giuridici e del trattamento economico di cui ai successivi articoli. 3. Per quanto non previsto dal presente contratto restano in vigore le norme dei precedenti CCNL.
Parte I
Art. 2
Coordinamento regionale
1. L’art. 7 del CCNL 19.4.2004 è integrato nel seguente modo:
- Al comma 1, primo capoverso, dopo le parole “le Regioni” sono aggiunte le seguenti parole “entro 90 giorni dall’entrata in vigore del presente contratto, previo confronto con le organizzazioni sindacali firmatarie dello stesso” ;
- al comma 1, dopo la lettera d), è aggiunta la seguente lettera: e)Linee di indirizzo in materia di prestazioni aggiuntive del personale infermieristico e tecnico di radiologia;- Dopo il comma 3 sono inseriti i seguenti commi 3bis e 3ter:
“3bis. Ferma rimanendo l’autonomia aziendale il sistema delle relazioni sindacali regionali, secondo i protocolli definiti in ciascuna regione con le OO.SS. di categoria firmatarie del presente CCNL, prevederà gli argomenti e le modalità di confronto con le medesime su materie non contrattuali aventi riflessi sul rapporto di lavoro. In tale ambito le Regioni svolgono opportuni confronti e verifiche con le OO.SS. al fine di valutare, sotto il profilo delle diverse implicazioni normativo-contrattuali, le problematiche connesse al lavoro precario e ai processi di stabilizzazione, tenuto conto della garanzia di continuità nell’erogazione dei LEA, anche in relazione alla scadenza dei contratti a termine.”
- “3ter. Ove le Regioni esplicitamente dichiarino, entro trenta giorni dalla data in vigore del CCNL, di non avvalersi, della facoltà di emanare linee di indirizzo sulle materie di cui al comma 1, le stesse costituiscono oggetto delle relazioni sindacali aziendali nell’ambito dei livelli per ciascuna di esse previsti dal presente contratto anche prima della scadenza dei 90 giorni previsti dal comma 1 medesimo.”
Art. 3
Mobilità interna
1. L’art. 18, comma 2, del CCNL integrativo del 20.9.2001, è così sostituito:
“2. L’Azienda, nell’esercizio del proprio potere organizzatorio, per comprovate ragioni tecniche o organizzative, nel rispetto dell’art. 2103 del codice civile, dispone l’impiego del personale nell’ambito delle strutture situate nel raggio di venticinque chilometri dalla località di assegnazione, previa informazione ai soggetti di cui all’art. 9, comma 2 del CCNL 7.4.1999. Non si configura in ogni caso quale mobilità, disciplinata dal presente articolo, lo spostamento del dipendente all’interno della struttura di appartenenza, anche se in ufficio, unità operativa o servizio diverso da quello di assegnazione, in quanto rientrante nell’ordinaria gestione del personale affidata al dirigente responsabile.2. All’art. 18 del CCNL integrativo del 20.9.2001, dopo il comma 2, è inserito il seguente comma 2.bis:
“2.bis. Deroghe in misura inferiore all’ambito territoriale di cui al comma 2 possono essere previste in sede di confronto regionale, ai sensi dell’art. 7 del CCNL 19.4.2004 tenuto conto, in particolare, delle problematiche legate alle dimensioni territoriali delle aziende, alla conformazione fisica del territorio e alle condizioni di viabilità e delle reti di trasporto pubblico ed altre situazioni valutabili in tale sede.”3. All’art. 18 del CCNL integrativo del 20.9.2001, dopo il comma 4, è inserito il seguente comma 4.bis:
“4.bis. In caso di ristrutturazione su dimensione regionale o sovra aziendale degli enti del SSN che comportino l’accorpamento, anche parziale, di strutture appartenenti a separati enti, i criteri circa la mobilità del personale interessato, nel rispetto della categoria, profilo professionale, disciplina ove prevista e posizione economica di appartenenza del dipendente, possono essere affrontate in sede di confronto regionale ai sensi dell’art. 7 del CCNL 19.4.2004”
Art. 4Mensa
1. L’art. 29, comma 1 del CCNL integrativo del 20.9.2001, è così modificato:
“1. Le aziende, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, garantire l’esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive. In ogni caso l’organizzazione e la gestione dei suddetti servizi, rientrano nell’autonomia gestionale delle aziende, mentre resta ferma la competenza del CCNL nella definizione delle regole in merito alla fruibilità e all’esercizio del diritto di mensa da parte dei lavoratori.
2. L’art. 29, comma 4 del CCNL integrativo del 20.9.2001, è così modificato:“4. Le Regioni, sulla base di rilevazioni relative al costo della vita nei diversi ambiti regionali e al contesto socio-sanitario di riferimento, possono fornire alle aziende indicazioni in merito alla valorizzazione - nel quadro delle risorse disponibili - dei servizi di mensa nel rispetto della partecipazione economica del dipendente finora prevista. Nel caso di erogazione dell’esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive, queste ultime non possono comunque avere un valore economico inferiore a quello in atto ed il dipendente è tenuto a contribuire nella misura di un quinto del costo unitario del pasto. Il pasto non è monetizzabile.”
Art. 5Principi in materia di compensi per la produttività
1. Le parti confermano la disciplina della produttività collettiva per il miglioramento dei servizi, dettata dall’art. 47 del CCNL 1.9.1995, ribadendo gli ordinari principi in materia di premialità, con particolare riferimento alla natura e ai contenuti dei sistemi incentivanti la produttività e alla conseguente necessità di valutare l’effettivo apporto partecipativo dei lavoratori coinvolti negli stessi. In caso di assenza, l’apporto individuale del dipendente è valutato in relazione all’attività di servizio svolta ed ai risultati conseguiti e verificati, nonché sulla base della qualità e quantità della sua partecipazione ai progetti e programmi di produttività.
Parte IITrattamento economicoArt. 6Stipendio tabellare, fasce e trattamento economico iniziale 1. Il trattamento economico tabellare delle posizioni iniziali e di sviluppo delle diverse categorie, come definiti dall’ art. 7 del CCNL del 10 aprile 2008, è incrementato degli importi mensili lordi, per tredici mensilità, indicati nella Tabella A, allegata al presente CCNL ed alle scadenze ivi previste.
2. Gli importi annui degli stipendi tabellari risultanti dall’applicazione del comma 1 sono rideterminati nelle misure e alle scadenze stabilite dalla allegata Tabella B, ove è anche indicato l’importo del trattamento economico iniziale delle categorie. .
3. Gli importi delle fasce retributive sono rideterminati nei valori indicati nelle Tabelle C e D alle scadenze ivi previste e calcolati sul valore del trattamento economico iniziale di cui al comma 2.
4. Gli incrementi di cui al comma 1 comprendono ed assorbono l’indennità di vacanza contrattuale per il biennio 2008 – 2009, qualora corrisposta ai sensi dell’art. 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203.
Art. 7
Fondo per i compensi di lavoro straordinario e per la remunerazione di particolari condizioni di disagio, pericolo o danno
1. Il fondo per il finanziamento dei compensi di lavoro straordinario e per la remunerazione di particolari condizioni di disagio, pericolo o danno, di cui all’art. 8 del CCNL 10 aprile 2009, è confermato a decorrere dal 1 gennaio 2008. Il suo ammontare a tale data è quello consolidato al 31 dicembre 2007. Sono altresì confermate tutte le modalità di utilizzo previste dal citato art. 8.
Art. 8
Fondo della produttività collettiva per il miglioramento dei servizi e per il premio della qualità delle prestazioni individuali
1. Il fondo della produttività collettiva per il miglioramento dei servizi e per il premio della qualità delle prestazioni individuali, di cui all’art. 9 del CCNL 10 aprile 2008 è confermato a decorrere dal 1 gennaio 2008. Il suo ammontare a tale data è quello consolidato al 31 dicembre 2007, con le precisazioni contenute nel comma 2 dell’art. 30 del CCNL 19 aprile 2004.
2. Dal 1 gennaio 2008 il fondo stesso continua ad essere alimentato dalle medesime voci indicate nelle lettere b), c) e d) del comma 2 dell’art. 9 del CCNL 10 aprile 2008.
3.Dal 1 gennaio 2008 il fondo continua ad essere altresì alimentato dalla voce indicata nella lettera a) del comma 2 dell’art. 9 del CCNL 10 aprile 2008 fino alla data di entrata in vigore del DL 112/2008 convertito con L. 133/2008.
4. E’ altresì confermato il comma 3 dell’art. 9 del CCNL 10 aprile 2008.
Art. 9
Fondo per il finanziamento delle fasce retributive, delle posizioni organizzative, del valore comune delle ex indennità di qualificazione
professionale e dell’indennità professionale specifica.
1. Il fondo per il finanziamento delle fasce retributive, delle posizioni organizzative, del valore comune delle ex indennità di qualificazione professionale e dell’indennità professionale specifica, di cui all’art.10 del CCNL 10 aprile 2008, è confermato a decorrere dal 1 gennaio 2008 per le modalità di utilizzo nonché di incremento previste al comma 1 del medesimo articolo.Il suo ammontare a tale data è quello consolidato al 31 dicembre 2007.2. A decorrere dal 1.1.2008 e dal 1.1.2009 il fondo deve essere rivalutato automaticamente in rapporto al nuovo valore delle fasce attribuite ai dipendenti che gravano sul fondo stesso, incrementate e finanziate dal presente contratto nelle misure indicate nella tabella A.
Art. 10Progetti e programmi per il miglioramento dei servizi all’utenza
1. Al fine di dare maggiore impulso ai processi di innovazione, le Aziende promuovono specifici progetti programmi o piani di lavoro per il miglioramento dei servizi rivolti all’utenza, con particolare riferimento alla piena adeguatezza dei sistemi organizzativi, nonché al conseguimento di una maggiore corrispondenza tra le prestazioni rese e le esigenze del cittadino. 2. I progetti e programmi di cui al comma 1, devono corrispondere ad esigenze effettive dell’Azienda ed apportare un concreto e misurabile contributo aggiuntivo alla attività ordinaria soprattutto per quanto riguarda gli obiettivi di riduzione delle liste di attesa e alla piena e qualificata erogazione dei livelli essenziali di assistenza, ivi compreso l’ampliamento degli orari delle strutture.
3. Ciascuna Regione, con specifica direttiva, individua, a valere dall’anno 2009, quali ulteriori risorse, lo 0,8% annuo, calcolato sul monte salari 2007, per il finanziamento dei progetti innovativi di cui ai commi precedenti, fatto salvo il rispetto dei Patti per la salute e dei relativi obiettivi e vincoli economici e finanziari. Dette risorse non sono oggetto di consolidamento in alcuno dei fondi previsti dal presente CCNL e non possono finanziare voci del trattamento fondamentale della retribuzione.
4. Le suddette risorse sono erogate a consuntivo, previa verifica dell’effettivo raggiungimento degli obiettivi di cui ai commi precedenti, ai dipendenti direttamente coinvolti nell’ambito di tali progetti, secondo appositi meccanismi premiali correlati ai risultati conseguiti.
Parte IIINorme generali e finali
Art. 11Effetti dei nuovi stipendi
1. Le misure degli stipendi risultanti dall’applicazione del presente contratto hanno effetto sulla tredicesima mensilità, sul compenso per lavoro straordinario, sul trattamento ordinario di quiescenza, normale e privilegiato, sull’indennità di buonuscita, sul TFR, sull’indennità di cui all’art. 13, comma 4 ed all’art. 15, comma 7 del CCNL del 10 aprile 2008, sull’equo indennizzo, sulle ritenute assistenziali e previdenziali e relativi contributi, comprese la ritenuta in conto entrata Tesoro od altre analoghe ed i contributi di riscatto. 1. I benefici economici risultanti dalla applicazione dell’art. 2 sono corrisposti integralmente alle scadenze e negli importi previsti al personale comunque cessato dal servizio, con diritto a pensione, nel periodo di vigenza del biennio economico 2008-2009. Agli effetti dell’indennità di buonuscita, di licenziamento, nonché quella prevista dall’art. 2122 c.c. si considerano solo gli scaglionamenti maturati alla data di cessazione del rapporto di lavoro.2. Resta confermato quanto previsto dall’art. 12, comma 3 del CCNL del 10 aprile 2008.
Art. 12Norme finali1. Le parti si danno atto che è necessario procedere alla correzione del seguente errore materiale rinvenuto nell’art. 12 del CCNL 10.4.2008:
- art. 12, comma 1, primo periodo: le parole “di cui all’art. 8” sono sostituite dalle seguenti “di cui all’art. 7”.
2. In materia di prestazioni aggiuntive, si rinvia a quanto stabilito nell’art. 1 del DL 402/2001, convertito in L. 1/2002 e s.m.i.
3. In considerazione della rilevanza e della complessità della materia degli incarichi di coordinamento e specialistici, di cui alla L. 43/2006, nonché di posizione organizzativa, le parti affronteranno in maniera organica e completa la tematica del sistema di valorizzazione della responsabilità e dell’autonomia professionale nella prossima tornata contrattuale
DICHIARAZIONE CONGIUNTA N. 1Con riferimento al comma 3bis dell’art 7, del CCNL del 19.4.2004, come modificato dall’art. 2 del presente CCNL, le parti convengono che le verifiche ivi indicate, in prima applicazione, ove non già effettuate, debbano essere svolte entro il 30 giugno 2009, anche al fine di valutare la possibilità di rinnovo o proroga dei contratti a termine, ai sensi di quanto previsto dalla normativa vigente.
DICHIARAZIONE CONGIUNTA N. 2Le parti si danno atto che i principi ribaditi nell’art. 5 sono funzionali all’applicazione dell’art. 71, comma 5 del D.L. 112/2008, convertito in L. 133/2008, sono applicati anche con riferimento alle sotto indicate fattispecie: a) permessi retribuiti per donatori di midollo osseo di cui all’art. 5 della L. 6-3-2001 n. 52;b) assenze per attività di volontariato di cui all’art. 9 del D.P.R. 8-2-2001 n. 194;c) permessi di cui alla L. 104/1992;d) congedi parentali di cui al D.Lgs. 151/2001;e) permessi di cui all’art. 21, comma 2, con riguardo in particolare a screening o prevenzione oncologica.Le parti si danno altresì atto che in materia di trattamento economico nei casi di assenza per malattia, di cui all’art. 71, comma 1 del D.L. 112/2008, convertito in L. 133/2008, ai fini di una corretta applicazione si potrà fare riferimento alle circolari e note interpretative nel frattempo emanate.
DICHIARAZIONE CONGIUNTA N. 3Le parti, con riferimento all’art. 10, si danno atto che il riferimento ai Patti per la salute attiene esclusivamente alle risorse dello 0,8% e non ai fondi contrattuali già consolidati.
Ipotesi CCNL comparto Sanita_14.05.09.pdf
Cari colleghi...
Cari colleghi.. Qesto blog nasce come contenitore di notizie, novità, aggiornamenti, storie di vita vissuta, confronto e anche risoluzione di problemi di carattere legale, nonchè domande e commenti sugli argomenti. Siete tutti invitati a partecipare attivamente perchè solo così potremo affermare la nostra forza..
Iscriviti a:
Post (Atom)